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Quaderni di Tecnostruttura - Quaderno del 22 dicembre 2014

Lavoro, crescita e investimenti, l'impegno per il futuro

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Il decreto interministeriale del 1° agosto 2014 e i profili di gestione regionale

di Rita Arcese

Settore Lavoro - Tecnostruttura

Gli ammortizzatori sociali in deroga rappresentano uno degli ambiti di lavoro sul quale le Regioni e Province autonome sono state fortemente impegnate nel corso del 2014. Si richiama in tal senso l’intenso processo di confronto tecnico e politico con il livello centrale che ha portato all’emanazione da parte del governo il 1° agosto 2014 del decreto interministeriale n. 83473 di modifica dei criteri di accesso agli ammortizzatori sociali in deroga, secondo quanto disposto all’art. 4, comma 2, del Dl 54/2013, nonché della relativa circolare interpretativa. L’esigenza di intervenire con urgenza sul tema degli ammortizzatori è stata dettata in primo luogo dal perdurare della crisi economica che ha comportato forti impatti nel mercato produttivo e occupazionale, determinando una maggiore difficoltà di reperire risorse finanziarie adeguate, nonché dalla necessità di delineare un quadro di regole di accesso agli strumenti di sostegno al reddito in deroga più omogeneo sul territorio nazionale, assicurando allo stesso tempo una graduale transizione verso il nuovo regime delineato nella legge 92/2012 e nella legge delega 183/2014, c.d. Jobs Act.

L’analisi che segue mostra come, fin da subito, l’iter di approvazione del citato decreto sia stato complesso e articolato, poiché secondo le disposizioni contenute nell’art. 4 del Dl 54/2013, lo schema di decreto prevedeva l’acquisizione del parere della Conferenza Stato-Regioni e delle competenti Commissioni parlamentari di Camera e Senato, nonché la consultazione delle parti sociali. Tutto ciò nella considerazione che la ridefinizione di criteri di accesso agli ammortizzatori in deroga rappresenta un tema molto delicato dal punto di vista sociale poiché si interviene in un’ottica “restrittiva” sui limiti di durata di fruizione e di reiterazione dello strumento, sulle tipologie dei datori di lavoro e dei lavoratori beneficiari, sui termini di presentazione, sulle causali di concessione, comportando di fatto ricadute notevoli sul sistema complessivo dei diritti e delle tutele dei lavoratori. 

In tale quadro, le Regioni e Province autonome, nell’ambito della IX Commissione, sono state impegnate tra la fine del 2013 e il 2014 in un’intensa attività di confronto sul testo del decreto, proponendo modifiche ed integrazioni con l’intento, da un lato, di arrivare alla definizione di nuovi criteri di accesso maggiormente rispondenti alle effettive esigenze del contesto produttivo locale e, dall’altro, di delineare procedure gestionali efficienti ed adeguate in grado di assicurare la corretta ed efficace applicazione del decreto e al contempo di garantire la tempestività di risposta alle richieste dei lavoratori e delle imprese. In tal senso, in sede di Conferenza Stato-Regioni del 19 dicembre 2013, hanno formulato alcuni rilievi nonché richieste di emendamenti all’articolato, il cui accoglimento è stato assunto come condizionante per l’espressione del parere.

In linea generale, le Regioni e le Province autonome hanno richiamato:

- la necessità di superare l’attuale sistema degli ammortizzatori sociali in deroga verso un sistema di protezione universale, con la finalità di garantire una uguale copertura a tutti i lavoratori;

- la necessità di prevedere nuovi stanziamenti per garantire la copertura integrale del fabbisogno delle richieste di autorizzazioni per l’anno 2013 e la certezza delle risorse per il biennio 2014-2015;

- l’esigenza di una valorizzazione del ruolo regionale, a fronte dei compiti attribuiti all’Inps nella fase di invio ed esame delle domande da parte degli interessati, con l’evidenziazione delle difficoltà organizzative legate ai procedimenti autorizzatori laddove vi fosse l’invio delle domande esclusivamente all’Inps e il processo autorizzativo in capo alle Regioni;

- la necessità della non retroattività dei nuovi criteri, con la previsione di una fase di transizione per consentire l’adeguamento anche dei sistemi informatici alle nuove modalità di gestione.

Accanto a ciò, sono state proposte alcune specifiche richieste emendative in ordine alla riammissione tra i destinatari dello strumento di tutela, della categoria dei somministrati e degli apprendisti, esclusi dal decreto; alla reintroduzione del requisito di anzianità lavorativa aziendale di 90 giorni, in luogo dei 12 mesi; all’utilizzo, relativamente alle aziende, della dizione “datori di lavoro”; all’ampliamento delle causali di concessione del trattamento di CIGD, ricomprendendo le riconversioni aziendali, le procedure concorsuali e le cessazioni; alla perentorietà del termine di 20 giorni per la  presentazione della domanda di concessione di CIGD. Infine, è stata evidenziata la necessità che venissero delineati in maniera più completa gli aspetti procedurali previsti per la concessione del trattamento di mobilità.

L’analisi sullo schema di decreto è proseguita ed ha visto le Regioni impegnate in diversi confronti interistituzionali, di cui si richiama in primo luogo l’audizione al Senato del 21 gennaio 2014 nel corso della quale le amministrazioni regionali hanno rappresentato le proprie osservazioni e istanze che sono state nella maggior parte condivise e riproposte, come si evince dai successivi documenti di acquisizione dei pareri parlamentari, dalle Commissioni Lavoro di Camera e Senato. Inoltre, si segnalano i momenti di interlocuzione politica con il Ministero del Lavoro nel corso dei quali sono state concordate e condivise ulteriori modifiche allo schema di decreto rispetto alla bozza del giugno 2014, giudicata dalle Regioni non pienamente rispondente alle richieste presentate in sede di Conferenza Stato-Regioni il 19 dicembre 2013. Infine, i numerosi confronti in sede sia politica sia tecnica che sono seguiti all’emanazione del decreto interministeriale n. 83473 del 1° agosto 2014 con la finalità di pervenire a interpretazioni unanimi del decreto e che hanno portato alla predisposizione da parte del Ministero del Lavoro della relativa circolare interpretativa n. 19/2014, nonché degli ulteriori chiarimenti del 24 novembre 2014 in merito agli aspetti applicativi.

Tale intenso confronto, che ha visto una proficua collaborazione delle Regioni con il ministero del Lavoro, si è reso necessario poiché il decreto interministeriale che, complessivamente ha introdotto limiti più stringenti per l’utilizzo degli ammortizzatori in deroga sia di cassa sia di mobilità, nell’ottica di una riduzione delle risorse ad essi destinate, ha allo stesso tempo modificato in maniera significativa le regole di gestione degli stessi, evidenziando fin da subito alcuni aspetti di problematicità in ordine alla sua applicazione. Ciò è stato determinato, in primo luogo, da difficoltà interpretative in merito ad alcune disposizioni contenute nel decreto e dalla conseguente necessità da parte delle amministrazioni regionali di avere precisazioni dal ministero, considerate dirimenti, per l’attuazione dello stesso nonché dalla “ristrettezza” dei tempi con cui il decreto è entrato in vigore che non ha consentito di disporre dei tempi tecnici necessari per procedere all’adeguamento dei sistemi di gestione, anche per quanto riguarda gli aspetti informatici.

Con riferimento ai contenuti del decreto interministeriale del 1° agosto 2014, sono molti e importanti gli elementi di innovazione introdotti rispetto ai criteri finora vigenti per la cassa integrazione in deroga, di cui si dà conto dei principali:

- esclusione delle imprese in cessazione, totale o parziale di attività, e revisione delle clausule di integrabilità, con l’introduzione della voce “ristrutturazione o riorganizzazione”;

- restrizione della platea dei soggetti che possono richiedere la cassa in deroga, limitandola solo alle imprese di cui all’articolo 2082 del codice civile ed all’art. 2083 come chiarito dalla circolare, ovvero coloro che esercitano professionalmente un’attività economica organizzata, al fine dello scambio di beni e servizi. In tal senso, risultano esclusi ad esempio gli studi professionali e le associazioni;

- innalzamento del requisito soggettivo per poter accedere al trattamento che diventa di 12 mesi di anzianità aziendale (in luogo di 90 giorni) alla data di inizio del periodo di intervento di cassa, ridotto ad 8 mesi per l’annualità 2014;

- pieno utilizzo, prima del ricorso alla cassa integrazione in deroga, degli strumenti ordinari di flessibilità, ivi inclusa la fruizione delle ferie residue;

- fissazione dei limiti di durata di concessione dei trattamenti, da applicare “in relazione a ciascuna unità produttiva”, pari a 11 mesi nell’anno 2014  e a 5 mesi nel 2015;

- modifica delle modalità procedurali e dei tempi per la presentazione delle domande di concessione o proroga dei trattamenti;

- definizione di tempistiche standard per l’evasione delle pratiche da parte della Regione, nonché per la presentazione delle domande da parte delle imprese.

Per quanto riguarda la mobilità in deroga, in linea generale, si rileva un sostanziale restringimento del campo di applicazione con una notevole limitazione della durata specie con riferimento al 2015; ciò nella previsione che a partire dal 1° gennaio 2017 il trattamento non potrà più essere concesso, in coerenza con quanto disposto dalla legge 92/2012 in merito alla mobilità ordinaria.

Inoltre, al fine di assicurare un passaggio graduale dal vecchio al nuovo sistema definito dal decreto interministeriale, nelle disposizioni finali e transitorie contenute nell’art. 6 sono previste, entro determinati limiti temporali (31 dicembre 2014) e di risorse, due possibili deroghe al sistema introdotto dal decreto. Si fa riferimento, nello specifico, alla possibilità da parte del ministero del Lavoro di prorogare i trattamenti di integrazione salariale e di mobilità concessi precedentemente alla data di entrata in vigore del decreto, a fronte di programmi di reindustrializzazione o riconversione di specifiche aree territoriali entro il limite di 55 milioni di euro e alla possibilità da parte delle Regioni di derogare ai nuovi criteri nella misura del 5% delle risorse attribuite e comunque entro il limite di 70 milioni di euro. Previsione, quest’ultima, che consente alle Regioni di poter gestire in maniera mirata situazioni specifiche e diversificate presenti nei territori.

Alla luce del mutato quadro normativo, nonché dei chiarimenti da parte del ministero del Lavoro, le Regioni hanno provveduto fin da subito ad emanare circolari per fornire indicazioni puntuali e orientamenti applicativi agli operatori del sistema e poi a sottoscrivere i relativi accordi territoriali con le parti sociali, recependo le disposizioni del decreto e delineando priorità di intervento e relative modalità per garantirne l’operatività sul territorio regionale. Si rileva come, a fronte del puntuale recepimento negli accordi territoriali delle disposizioni sui criteri di accesso del decreto, il margine di discrezionalità regionale sia di fatto riconducibile esclusivamente a quanto disposto dall’art. 6 dello stesso. Su tale argomento dall’esame degli accordi quadro territoriali, sottoscritti dalle Regioni con le parti sociali dopo il decreto interministeriale, emerge che solo alcune Regioni si sono avvalse della possibilità di effettuare deroghe al decreto, in diversi casi prorogando fino a dicembre 2014 i criteri stabiliti nei precedenti accordi territoriali o estendendo le tutele anche ai datori di lavoro non imprenditori. La maggior parte delle Regioni si sono riservate, invece, di precisarne l’utilizzo successivamente, in considerazione della difficoltà di quantificare la platea dei beneficiari e di determinare l’esatta stima degli importi di risorse assegnate al riguardo, subordinandone in alcuni casi la disciplina solo a seguito della totale copertura degli aventi diritto.

Accanto alla definizione dei nuovi criteri, vi è stata l’attribuzione di risorse aggiuntive da parte del governo pari a 400 milioni di euro per la copertura del fabbisogno degli accordi stipulati ante decreto (fino al 3 agosto 2014) che hanno permesso alle Regioni di continuare ad autorizzare le richieste di trattamento per il 2014 e l’assegnazione di 503 milioni di euro con decreto del 4 dicembre 2014, già stanziati nel decreto c.d.  “Sblocca Italia”.

Il Jobs Act: le deleghe per la riforma degli ammortizzatori

Il dibattito sugli ammortizzatori sociali, al momento attuale, appare fortemente in evoluzione soprattutto alla luce dell’importante novità costituita dall’approvazione della legge 183/2014, c.d. Jobs Act, che, tra le numerose deleghe al governo, reca quella per il riordino complessivo della normativa in materia di ammortizzatori sociali. Dalla lettura dei principi e dei criteri direttivi per l’esercizio della delega si segnala come l’ambito sia vasto e interessi sia gli strumenti di tutela in corso di lavoro sia quelli relativi alla tutela in caso di disoccupazione involontaria, ma occorrerà attendere i decreti legislativi per poter avere un quadro più definito degli interventi. Uno degli elementi di novità riguarda la revisione del campo di applicazione degli attuali istituti della CIGO, della CIGS e dei fondi di solidarietà bilaterali, relativi ai settori non coperti dagli strumenti di integrazione salariale, stabiliti dalla legge 92/2012, con l’istituzione di un termine certo per l’avvio e l’introduzione di meccanismi standardizzati di concessione. In tale ambito, occorrerà comprendere se verrà mantenuto l’impianto contenuto nella legge 92/2012, che di fatto porterebbe alla progressiva scomparsa della cassa integrazione in deroga per le imprese che occupano più di 15 dipendenti, e quali forme di tutela verranno previste per i lavoratori delle imprese al di sotto dei 15 dipendenti, attualmente coperti dagli strumenti in deroga.

In linea generale, comunque, il nucleo della riforma riguarda la CIG con l’intento di razionalizzarne l’utilizzo, sia con la previsione di procedure più semplici, sia con la revisione dei limiti di durata e la subordinazione dell’accesso all’esaurimento dell’utilizzo dei contratti di solidarietà, sia ancora rimodulando le aliquote di contribuzione tra i settori, in funzione dell’effettivo impiego. Inoltre, in coerenza con quanto previsto per la CIGS dalla legge 92/2012 che a partire dal 1° gennaio 2016 non potrà più essere utilizzata in caso di procedure concorsuali, vi è la previsione di intervenire con la preclusione all’accesso ad ogni forma di integrazione salariale nel caso di cessazione definitiva dell’attività aziendale o di un ramo di essa.

Con riferimento, agli strumenti di sostegno in caso di disoccupazione involontaria, si intende continuare a operare nella logica di omogenizzare la disciplina relativa agli interventi ordinari con quelli a breve, in un’unica prestazione improntata ai criteri di equità, attraverso la previsione di una rimodulazione dell’ASPI, rapportandone la durata del trattamento alla pregressa storia contributiva del lavoratore e consolidando, in tal modo, la connotazione assicurativa della prestazione. Un altro dato di rilievo è senza dubbio l’estensione dell’ASPI, con una sperimentazione biennale a risorse predefinite, ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, già prefigurata dalla legge 92/2012, nonché l’eventuale introduzione di un’ulteriore prestazione destinata ai lavoratori in particolare disagio economico.

Infine, nell’ottica di rafforzare il collegamento tra le politiche passive con quelle attive, si inseriscono, da un lato, la previsione di favorire l’attivazione dei beneficiari degli strumenti di sostegno al reddito nella ricerca attiva di nuova occupazione, peraltro già disciplinata sia dal Dlgs. 181/00 sia da ultimo dalla legge 92/2012, anche attraverso un possibile coinvolgimento in attività a beneficio di comunità locali e con l’individuazione di sanzioni nel caso di indisponibilità e, dall’altro, la costituzione di un’Agenzia nazionale per l’occupazione con competenze gestionali in materia servizi per l’impiego, politiche attive e ASPI.

Da quanto fin qui evidenziato, si tratta di una riforma complessa e articolata, che si pone l’obiettivo di allargare le tutele in chiave universalistica e di individuare forme di sostenibilità del sistema e per la quale il disegno di legge sulla stabilità 2015 attualmente in discussione in Parlamento, prevede rilevanti risorse, per far fronte agli oneri derivanti dai successivi provvedimenti normativi di attuazione. Tale direzione di allargamento delle tutele è stata peraltro condivisa dalle Regioni in sede di Conferenza Unificata il 15 maggio 2014, nell’ambito dell’esame del testo del Ddl Jobs Act, nel corso del quale, pur rilevando come a legislazione vigente gli ammortizzatori sociali non rientrino nelle competenze istituzionali delle amministrazioni regionali, avendone esercitato per delega competenze amministrative, hanno richiamato l’opportunità, anche alla luce della forte esperienza maturata sul tema a partire dal 2009, di un coinvolgimento nei lavori che porteranno alla stesura dei decreti legislativi.

Il Jobs Act: le deleghe per la riforma degli ammortizzatori

Il dibattito sugli ammortizzatori sociali, al momento attuale, appare fortemente in evoluzione soprattutto alla luce dell’importante novità costituita dall’approvazione della legge 183/2014, c.d. Jobs Act, che, tra le numerose deleghe al governo, reca quella per il riordino complessivo della normativa in materia di ammortizzatori sociali. Dalla lettura dei principi e dei criteri direttivi per l’esercizio della delega si segnala come l’ambito sia vasto e interessi sia gli strumenti di tutela in corso di lavoro sia quelli relativi alla tutela in caso di disoccupazione involontaria, ma occorrerà attendere i decreti legislativi per poter avere un quadro più definito degli interventi. Uno degli elementi di novità riguarda la revisione del campo di applicazione degli attuali istituti della CIGO, della CIGS e dei fondi di solidarietà bilaterali, relativi ai settori non coperti dagli strumenti di integrazione salariale, stabiliti dalla legge 92/2012, con l’istituzione di un termine certo per l’avvio e l’introduzione di meccanismi standardizzati di concessione. In tale ambito, occorrerà comprendere se verrà mantenuto l’impianto contenuto nella legge 92/2012, che di fatto porterebbe alla progressiva scomparsa della cassa integrazione in deroga per le imprese che occupano più di 15 dipendenti, e quali forme di tutela verranno previste per i lavoratori delle imprese al di sotto dei 15 dipendenti, attualmente coperti dagli strumenti in deroga.

In linea generale, comunque, il nucleo della riforma riguarda la CIG con l’intento di razionalizzarne l’utilizzo, sia con la previsione di procedure più semplici, sia con la revisione dei limiti di durata e la subordinazione dell’accesso all’esaurimento dell’utilizzo dei contratti di solidarietà, sia ancora rimodulando le aliquote di contribuzione tra i settori, in funzione dell’effettivo impiego. Inoltre, in coerenza con quanto previsto per la CIGS dalla legge 92/2012 che a partire dal 1° gennaio 2016 non potrà più essere utilizzata in caso di procedure concorsuali, vi è la previsione di intervenire con la preclusione all’accesso ad ogni forma di integrazione salariale nel caso di cessazione definitiva dell’attività aziendale o di un ramo di essa.

Con riferimento, agli strumenti di sostegno in caso di disoccupazione involontaria, si intende continuare a operare nella logica di omogenizzare la disciplina relativa agli interventi ordinari con quelli a breve, in un’unica prestazione improntata ai criteri di equità, attraverso la previsione di una rimodulazione dell’ASPI, rapportandone la durata del trattamento alla pregressa storia contributiva del lavoratore e consolidando, in tal modo, la connotazione assicurativa della prestazione. Un altro dato di rilievo è senza dubbio l’estensione dell’ASPI, con una sperimentazione biennale a risorse predefinite, ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, già prefigurata dalla legge 92/2012, nonché l’eventuale introduzione di un’ulteriore prestazione destinata ai lavoratori in particolare disagio economico.

Infine, nell’ottica di rafforzare il collegamento tra le politiche passive con quelle attive, si inseriscono, da un lato, la previsione di favorire l’attivazione dei beneficiari degli strumenti di sostegno al reddito nella ricerca attiva di nuova occupazione, peraltro già disciplinata sia dal Dlgs. 181/00 sia da ultimo dalla legge 92/2012, anche attraverso un possibile coinvolgimento in attività a beneficio di comunità locali e con l’individuazione di sanzioni nel caso di indisponibilità e, dall’altro, la costituzione di un’Agenzia nazionale per l’occupazione con competenze gestionali in materia servizi per l’impiego, politiche attive e ASPI.

Da quanto fin qui evidenziato, si tratta di una riforma complessa e articolata, che si pone l’obiettivo di allargare le tutele in chiave universalistica e di individuare forme di sostenibilità del sistema e per la quale il disegno di legge sulla stabilità 2015 attualmente in discussione in Parlamento, prevede rilevanti risorse, per far fronte agli oneri derivanti dai successivi provvedimenti normativi di attuazione. Tale direzione di allargamento delle tutele è stata peraltro condivisa dalle Regioni in sede di Conferenza Unificata il 15 maggio 2014, nell’ambito dell’esame del testo del Ddl Jobs Act, nel corso del quale, pur rilevando come a legislazione vigente gli ammortizzatori sociali non rientrino nelle competenze istituzionali delle amministrazioni regionali, avendone esercitato per delega competenze amministrative, hanno richiamato l’opportunità, anche alla luce della forte esperienza maturata sul tema a partire dal 2009, di un coinvolgimento nei lavori che porteranno alla stesura dei decreti legislativi.