Premessa
di Cristina Iacobelli
Tecnostruttura - Settore Lavoro
Anche questa volta, al concludersi dell’anno, trattiamo il tema dei servizi per il lavoro, “iniziando dalla fine”.
A breve sarà varata dal Parlamento la Legge di Bilancio per il 2018. Con tale provvedimento, si chiude una lunga e complessa fase di lavoro che ha accumunato le amministrazioni centrali e regionali, impegnate nel corso degli ultimi tre anni a dare impulso, conformare e sviluppare un nuovo assetto organizzativo e funzionale dei servizi per l’impiego. Con le disposizioni contenute nella manovra finanziaria si pongono, di fatto, le basi per il passaggio a regime del sistema, nell’ambito di una organizzazione regionale dei servizi, che abbraccia le risorse umane preposte al loro funzionamento.
Parallelamente, lo scorso 21 dicembre le Conferenza Stato – Regioni ed Unificata hanno rispettivamente approvato, tramite Intesa, un corposo pacchetto normativo, teso ad attuare le disposizioni del Jobs Act in materia di servizi per il lavoro e, tramite Accordo, un piano strategico di rafforzamento degli stessi e delle misure di politica attiva del lavoro, dando vita e sostanza ad un corpus di regole e strumenti operativi per l’impostazione, l’effettività e la crescita del sistema. L’intesa sul pacchetto normativo e l’accordo sul potenziamento, sopraggiunti entrambi dopo un laborioso percorso di confronto tecnico e politico tra le istituzioni, a loro volta rappresentano il compimento del disegno organizzativo dei servizi, provvedendo a riempire di contenuti e strumenti il perimetro strutturale delimitato.
La fine del processo, d’altro canto, è soprattutto l’inizio di una nuova stagione, nella quale tutte le istituzioni saranno messe alla prova e chiamate a dar conto della validità e dell’efficacia delle soluzioni apprestate e delle regole che, in modo condiviso, si sono date per completare il contesto di operatività e la cassetta degli attrezzi dei nuovi servizi per il lavoro.
Proviamo in questo contributo a tenere insieme entrambi i profili - la messa a regime del sistema e gli strumenti per la sua regolazione e per il suo funzionamento - con la consapevolezza di poter solo tracciare una fotografia sullo stato dell’arte, rispetto ad un terreno in cui numerose sono ancora le questioni da sedimentare.
La norma finanziaria come precondizione
La legge di bilancio, come si diceva in premessa, è l’esito di un lungo lavoro di confronto interistituzionale, che ha visto la sottoscrizione, in seno alla Conferenza Stato – Regioni, di due fondamentali Accordi Quadro per la gestione, nel periodo transitorio, delle competenze in materia di politiche attive del lavoro, a partire dalle infrastrutture primarie di servizio.
Ci si riferisce, rispettivamente, all’Accordo Quadro del 30 luglio 2015 ed al suo rinnovo del 22 dicembre 2016, con i quali le Regioni e lo Stato hanno affrontato, in una dimensione temporanea e con uno sforzo congiunto, la questione relativa al personale dei Centri per l’impiego (CPI) ed ai costi fissi di funzionamento, per garantire una continuità al sistema, in attesa che si chiarisse il nodo delle competenze costituzionali (1). La consultazione referendaria del 4 dicembre 2016 ha cristallizzato lo scenario di riferimento entro il quale andava condotta la riflessione sulla riforma dei servizi per l’impiego, confermando la titolarità e il ruolo delle Regioni in relazione al mercato del lavoro; contestualmente, ha reso evidente la necessità, condivisa dallo Stato e dalle Regioni, di superare le fasi intermedie e definire, tempestivamente, le condizioni strutturali a regime per il prosieguo dei servizi dal 2018.
Occorreva, a monte, mettere a fuoco gli elementi dirimenti per il funzionamento dei servizi, a partire da un percorso di riallocazione del personale di provenienza provinciale dei CPI in capo alle Regioni/agenzie regionali o enti similari, in base all’autonomia organizzativa, a completamento della fase di transizione e in deroga ai vincoli normativi attualmente vigenti, con riguardo sia alla capacità assunzionale, sia ai tetti di spesa imposti alle amministrazioni regionali dalle norme finanziarie.
Condizione ineludibile per l’avvio di tale processo, appariva la messa a disposizione da parte dello Stato di una linea di finanziamento stabile per sostenere il costo del personale a tempo indeterminato dei servizi per l’impiego. Parte integrante di questo ragionamento era costituita, inoltre, dalla garanzia di continuità del personale impiegato presso i CPI con contratti di lavoro dipendente a tempo determinato, che sovente rappresenta la componente più qualificata o specializzata delle risorse umane e fonda un bagaglio di competenze e professionalità da non disperdere, pena la non continuità dei servizi.
Si trattava, pertanto, di individuare le opportune e adeguate condizioni finanziarie e giuridiche per la collocazione, il sostegno e la possibile stabilizzazione del personale, attraverso stanziamenti ad hoc di risorse nazionali e la definizione di soluzioni normative mirate.
Sulla base di questi input, dopo un lungo periodo di lavoro tecnico e di dialogo interistituzionale, nel mese di settembre 2017 il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali e gli assessori al Lavoro della IX Commissione della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome hanno raggiunto un accordo politico di fondamentale rilevanza, con l’impegno del Governo centrale a reperire le risorse sufficienti ed individuare le modalità tecnico- giuridiche più corrette, per dar seguito alle priorità concordate a dare finalmente “corpo” alla riforma dei servizi per l’impiego, oltre che le più volte richiamate “gambe” per proseguire il cammino. D’altro canto, nello spirito di leale collaborazione, le Regioni si sono rese disponibili a prendere in carico i costi fissi di funzionamento dei CPI, a fronte del forte sostegno assicurato dallo Stato sul versante del personale.
Con l’intesa del 21 dicembre 2017 è stato approvato un addendum all’Accordo Quadro in materia di politiche attive del lavoro dello scorso dicembre che, nel confermare quanto già ivi sancito, provvede all’assegnazione e ripartizione, per le medesime finalità e con i medesimi criteri, di un’ulteriore tranche pari a 45 milioni di euro, derivante dalla quota residua di risorse presenti nello stato di previsione delle spesa del ministero del Lavoro per l’anno 2017.
Se con l’integrazione dell’Accordo Quadro si chiude, pertanto, la fase transitoria dei servizi, è con la manovra di bilancio 2018 che si attuano gli impulsi maturati nel corso di tale ciclo e si gettano le basi del modello a regime.
La nuova legge finanziaria, infatti, all’articolo 1 (commi 793-807) introduce disposizioni riguardanti il completamento del processo di transizione delle funzioni inerenti i servizi per l’impiego, riconfigurati dal D. Lgs. n. 150/2105 come strutture regionali (2), mediante il trasferimento del relativo personale in capo alle Regioni o alle agenzie /organismi di rango regionale, secondo le rispettive discipline territoriali con il conseguente e corrispondente incremento della relativa dotazione organica. A tal fine, si stabilisce lo stanziamento a favore delle Regioni a statuto ordinario, a decorrere dal 2018, di risorse stabili nazionali, per un ammontare pari a 235 milioni di euro, per la copertura dei contratti a tempo indeterminato degli operatori di servizi per l’impiego (ad oggi circa 5.605 unità) coinvolti nel percorso di attuazione della legge n. 56/2014 (cd. Legge Delrio) e tuttora in attesa di una chiara collocazione giuridica (3). La norma di bilancio, inoltre, introduce finanziamenti pari a 16 milioni euro a favore del personale dei CPI impiegato con contratti a tempo determinato o di collaborazione coordinata e continuativa, per la proroga delle relative forme contrattuali e per la possibile stabilizzazione del personale a tempo determinato (ad oggi circa 365 operatori) attraverso l’estensione dell’applicabilità delle procedure descritte all’art. 20, comma 4 del D. Lgs. n. 75 del 2017 (nell’ambito dell’attuazione della legge 124/2015, cd. Legge Madia di Riforma della pubblica amministrazione), per gli aventi diritto secondo i requisiti fissati dalla norma e in deroga ai limiti vigenti in materia di assunzioni da parte della amministrazioni regionali (4). I contratti a tempo determinato e le collaborazioni coordinate e continuative, in essere alla data del 31 dicembre 2017, sono prorogati dalla legge fino al 31 dicembre 2018, ovvero fino alla conclusione delle citate procedure di stabilizzazione. Tali trasferimenti del personale, stabile ed a termine, alle Regioni ed agli enti regionali sono effettuati in deroga e non sono computati ai fini del calcolo dei limiti assunzionali vigenti. La norma, infine, rimanda ad un decreto interministeriale, da adottare previa intesa della Conferenza Stato – Regioni, i trasferimenti alle Regioni a statuto ordinario delle predette risorse per a copertura dei rapporti di lavoro sia a tempo indeterminato, che a tempo determinato e/o in rapporto di collaborazione coordinata e continuativa.
Le fondamenta sui cui radicare il sistema vengono così poste e rappresentano la precondizione per lo sviluppo di un ragionamento più ampio sul ruolo e sulle prospettive di azione dei CPI, alla luce dei compiti significativi che la legge nazionale affida loro (articolo 18 del D. Lgs. n. 150/2015). Affinché la costruzione del sistema risulti però effettivamente sostenibile, l’avvio del nuovo processo deve tener conto di due capisaldi, entrambi ribaditi nella posizione della Conferenza delle Regioni sul provvedimento (5):
- la previsione di un congruo periodo transitorio per permettere alle Regioni la definizione e la messa in atto delle necessarie condizioni normative, amministrative e organizzative, al fine di garantire la continuità nei servizi. A tal proposito, ai fini dell’effettivo subentro nell’esercizio delle funzioni, la norma introduce il termine del 30 giugno 2018 entro il quale le Regioni provvedono agli adempimenti strumentali conseguenti al trasferimento del personale ed alla successione dei contratti di lavoro. Fino a tale data, le Province e le Città metropolitane continuano a svolgere le attività di gestione del suddetto personale, anticipando gli oneri connessi, con successiva rivalsa sulle amministrazioni regionali. A tal fine, si prevede altresì l’adozione di uno schema tipo di convenzione tra le singole Regioni e le Province e Città metropolitane, da approvarsi in sede di Conferenza Unificata, per disciplinare le modalità di rimborso di tali oneri anticipati nel periodo transitorio. Anche se non specificato dalla norma, resta ferma, tuttavia, la necessità di prorogare/rinnovare nel periodo transitorio le sub convenzioni attualmente già in atto tra le Regioni e gli enti di area vasta – che derivano dall’applicazione dell’Accordo Quadro materia di politiche attive - per la regolazione del complesso di istituti giuridici connessi alla gestione del rapporto di lavoro, senza soluzione di continuità nell’erogazione dei servizi ed oltre il profilo finanziario attinente alle modalità tecniche di rivalsa;
- la garanzia della sostenibilità finanziaria, mediante uno stanziamento di risorse adeguato per consentire un ingresso “coperto” degli operatori alle dipendenze regionali o delle relative agenzie/enti. A questo proposito, va considerato che nei costi connessi al passaggio stabile del personale di derivazione provinciale nei ranghi regionali vanno contemplati anche le voci accessorie della retribuzione, con i necessari adeguamenti per il riequilibrio e l’armonizzazione con i trattamenti dei dipendenti già in forza presso l’ente subentrante. Pertanto, nel determinare il totale delle risorse della manovra, le Regioni hanno sottolineato la necessità di assicurare una piattaforma minima congrua per sostenere anche i costi indiretti e riflessi della regionalizzazione. In tale ottica, la norma di bilancio prevede l’applicazione al personale trasferito, titolare di un rapporto di lavoro subordinato, del trattamento giuridico ed economico, compreso quello accessorio, previsto per il personale delle amministrazioni di destinazione, con conseguente adeguamento dei fondi destinati al trattamento economico accessorio del personale a valere sulle risorse stanziate con la manovra e, laddove necessario, su quelle regionali, salvo l’equilibrio di bilancio. Inoltre, all’articolo 1, comma 445 quater si introducono disposizioni generali finalizzate alla progressiva armonizzazione dei trattamenti economici del personale di derivazione provinciale, transitato presso altre amministrazioni pubbliche nell’ambito del processo di attuazione della legge n. 56/2014, con quello relativo al personale dell’amministrazione di destinazione.
Il consolidamento dei servizi e le prospettive evolutive
L’attività svolta dalle Regioni negli ultimi tre anni, sotto l’egida dell’Accordo Quadro in materia di politiche attive, ha riguardato perlopiù il mantenimento dei servizi per il lavoro, con la salvaguardia della continuità professionale. In attuazione delle modalità organizzative profilate nelle convenzioni bilaterali attuative dell’Accordo, le Regioni hanno optato nel periodo transitorio prevalentemente per la conservazione del personale operante nei CPI alle dipendenze degli enti di area vasta/città metropolitane, ovvero per il suo utilizzo da parte dell’amministrazione regionale, nelle forme giuridiche consentite, ferma la titolarità del rapporto di lavoro in capo alle ex- Province.
A tal riguardo, dai monitoraggi effettuati in seno al Coordinamento tecnico della IX Commissione risulta che, tra le quindici amministrazioni regionali a statuto ordinario, sette Regioni hanno optato per il mantenimento del personale presso il livello provinciale, cinque Regioni hanno fatto ricorso a forme di avvalimento dello stesso da parte dell’amministrazione regionale, sette Regioni hanno scelto la strada della sua assegnazione temporanea alla Regione ovvero alle agenzie regionali e organismi similari presenti e/o costituiti sul territorio, nelle forme del distacco e del comando. In alcune realtà, la gestione del personale ha visto la coesistenza di più istituti e modalità, nell’ambito di un processo comunque in itinere.
Un dato significativo, emerso dalle ricognizioni, riguarda la costituzione o la conferma delle Agenzie regionali per il Lavoro, già presenti in dieci realtà (seppur con diversa configurazione), nonché in procinto di introduzione in altri territori (6). Si tratta, in alcuni casi, di organismi derivanti dall’attuazione territoriale del decentramento amministrativo operato dal decreto legislativo n. 469/1997, ad oggi rimodulati con nuove funzioni; in altri casi, di strutture regionali di nuova, più recente istituzione. Le Agenzie, pur dotate di autonomia giuridica, organizzativa, patrimoniale e contabile, sono centri di competenza tecnica rispondenti sempre agli indirizzi programmatici e strategici degli assessorati regionali nella gestione e qualificazione dei servizi per il lavoro e delle politiche attive. Sovente, all’Agenzia viene affidata anche il coordinamento e competenze gestionali in materia di centri per l’impiego e di alcune misure e strumenti di politica attiva. Peraltro, la presenza di Agenzie regionali per il Lavoro caratterizza anche le Regioni a statuto speciale, configurandosi in talune esperienze come aree interne/dipartimenti delle direzioni regionali del lavoro.
Una parte del personale dei CPI in alcune Regioni, ove il processo di istituzione e conferimento è stato più “spinto”, è stato allocato presso l’Agenzia, anche tramite la forma del comando; parimenti, in alcune esperienze si è anche proceduto al distacco funzionale del personale dipendente dall’amministrazione regionale. In altre Regioni si tratta di un percorso ancora aperto, legato essenzialmente alle reali prospettive evolutive del sistema dei servizi per il lavoro nell’ambito di un modello di governance che solo oggi, con il passaggio a regime, si sta delineando in modo chiaro.
Nelle riflessioni maturate sul piano tecnico e politico, sono emersi alcuni primi orientamenti in merito alle possibili modalità di gestione dell’imminente passaggio degli operatori dei CPI alle dipendenze delle Regioni, che tengono conto delle diverse problematiche inerenti all’inquadramento giuridico ed al conseguente trattamento del personale, in rapporto al trasferimento nei ranghi regionali ovvero in capo ad organismi ad hoc costituiti, quali appunto le agenzie. In tal senso, anche l’approfondimento istruttorio in seno alla Conferenza delle Regioni viene sviluppato in modo integrato tra le Commissioni che si occupano, rispettivamente, di “affari istituzionali e personale” e di “lavoro”, nonché con la Commissione competente in materia finanziaria. Ciò al fine di sviluppare un ragionamento organico, che tenga insieme i diversi profili di un processo articolato, nell’ambito di una vision strategica rispetto alla governance del mercato del lavoro, che si fonda sul ruolo propulsivo e operativo delle Regioni.
La cassetta degli attrezzi: regole e strumenti
Il disegno territoriale dei servizi per l’impiego, con la corretta imputazione di ruoli, compiti e funzioni, è una pagina ancora da completare.
La legge nazionale (articolo 11, comma 1, lettera a) e articolo 18 del D.Lgs. n. 150/2015) ha assegnato alla responsabilità delle Regioni la garanzia dell’esistenza e della funzionalità dei CPI, chiamati ad erogare nei confronti dei cittadini un complesso di rilevanti misure di politica attiva, che si configurano come LEP - Livelli Essenziali delle Prestazioni (articolo 28 del D.Lgs. n. 150/2015). Sempre la legge nazionale affida ad un decreto ministeriale la specificazione di tali LEP (articolo 2 del D.Lgs. n. 150/2015), come ad un decreto ministeriale viene rimandata l’individuazione dei criteri per l’accreditamento dei servizi per il lavoro (articolo 12 del D.Lgs. 150/2015), ai fini della corretta interazione tra soggetti pubblici e soggetti privati. Entrambi i provvedimenti devono essere adottati previa intesa della Conferenza Stato – Regioni. Al ministero del Lavoro, su proposta dell’ANPAL, è invece demandato il provvedimento in materia di individuazione dei parametri e di regolazione della congruità dell’offerta di lavoro (articolo 25 del D.Lgs. n. 150/2015) (7).
La definizione del modello organizzativo, che ha impegnato fino ad oggi le istituzioni, è quindi solo una parte del ragionamento, poiché occorre determinare le regole per un funzionamento efficace del servizi, a garanzia dell’omogeneità e qualificazione del sistema in una dimensione nazionale. Occorre, inoltre, stimolare la positiva integrazione tra soggetti pubblici e soggetti privati, nell’ambito di una rete di strutture ed interventi che deve rispondere a requisiti di qualità, affidabilità, sicurezza e trasparenza dell’azione amministrativa.
L’esperienza su entrambi i livelli di ragionamento soccorre ed è una buona bussola per indicare la via maestra.
Le Regioni dai tempi del decentramento amministrativo (con il D.Lgs. n. 469/1997) e, a seguire, del decentramento legislativo (con la legge n. 3/2001 di riforma del Titolo V, parte seconda della Costituzione) hanno definito, programmato e regolato nei rispettivi territori la cornice di riferimento del mercato del lavoro e dei servizi per l’impiego pubblici e privati, svolgendo una funzione di indirizzo e coordinamento della rete delle strutture operative (i CPI provinciali ed i soggetti pubblici/privati accreditati in conformità alle normative regionali, ai sensi del D.Lgs. n. 276/2003). In questo ambito, si è registrato anche un impegno sul versante della qualificazione e della standardizzazione dei servizi. Vero è che in un’esperienza consolidata in quasi un ventennio, prima dell’intervento di riordino operato dal Jobs Act, si riscontrano luci e ombre, con differenze sul piano gestionale dei servizi, oltre che dei modelli organizzativi; in questo ambito, a pratiche di eccellenza, riscontrabili in alcune realtà regionali, si sono affiancati alcuni ritardi e debolezze in altri contesti.
Ad ogni modo, tale esperienza, nei suoi lati positivi e nelle lezioni apprese circa le criticità da evitare, non è andata dispersa, ma è stata capitalizzata nel momento in cui le Regioni, nella nuova stagione dei servizi, si sono sedute al tavolo tecnico e politico con le amministrazioni centrali per discutere sul contenuto dei provvedimenti da adottare in merito ai LEP dei servizi per il lavoro ed in merito al loro regime di accreditamento, in una dimensione di sistema nazionale teso a superare i dislivelli ma, al contempo, a difendere e valorizzare le peculiarità.
Nella proposta che le Regioni, nel mese di luglio di questo anno, hanno elaborato e sottoposto all’attenzione del ministro del Lavoro si affronta in un’ottica integrata la riflessione in merito, rispettivamente:
- alla pianificazione congiunta delle politiche del lavoro in un perimetro di governance interistituzionale condivisa;
- alla specificazione dei LEP dei servizi per il lavoro, da garantire in modo uniforme ai cittadini ed alle imprese;
- alla declinazione dei criteri comuni per l’accreditamento dei servizi, ai fini di un corretto e positivo rapporto tra pubblico e privato.
Si tratta, infatti, di aspetti complementari ed inseparabili, che attengono tutti alla definizione delle regole del sistema e della conseguente “cassetta degli attrezzi” per il funzionamento dei servizi pubblici e privati del lavoro.
La proposta delle Regioni si è sviluppata con l’intento di procedere insieme all’amministrazione centrale secondo uno spirito di leale collaborazione, che va oltre il netto riparto delle competenze, per affrontare con più forza e comune impegno la sfida di far funzionare in Italia le infrastrutture del mercato del lavoro. Di fatto, tale impostazione ha guidato l'approfondimento tecnico e politico per la redazione delle bozze dei due provvedimenti ministeriali, rispettivamente, ex articolo 2 ed ex articolo 12, comma 1 del D. Lgs. n. 150/2015.
Il lavoro sui due DM ha trovato finalizzazione in sede di Conferenza Stato - Regioni, con l’Intesa del 21 dicembre 2017, sopraggiunta a seguito di un lungo confronto tecnico e politico, culminato nella stesura di un testo normativo che rappresenta un buon punto di equilibrio e mediazione tra le istanze.
Entrambi i provvedimenti, infatti, si basano su un approccio di sostenibilità del sistema, accanto all’obiettivo di un suo miglioramento omogeneo e complessivo.
Ha giovato al confronto, tecnico e politico, il consolidato di prassi e regolamentazioni già presenti nei territori regionali, così come la consapevolezza dei possibili vulnus sistemici.
Così, nel caso dei LEP, sono state codificate e declinate le prestazioni che i CPI dovranno assicurare alle persone disoccupate ed alle imprese, partendo dalla cornica normativa nazionale – che contempla anche il recente D. Lgs. n. 81/2017 in materia di lavoro autonomo - e tenendo conto dell’esigenza di descrivere in modo chiaro la tipologia ed il flusso di attività per la presa in carico e per l’erogazione delle misure di politica attiva ai diversi beneficiari, con i singoli output e outcome e con i diversi step del percorso personalizzato costruito per ciascun utente. In questo lavoro, sono state messe a fattor comune le riflessioni tecniche già avviate negli anni sul versante della qualificazione dei servizi, alla luce della nuova normativa di riordino degli stessi e della necessità di individuare un sistema omogeneo di prestazioni essenziali, lasciando all’autonomia dei territori gli standard organizzativi dei servizi.
D’altra parte, l’approfondimento, lungo e serrato, sul tema dell’accreditamento non ha potuto che svilupparsi se non partendo da una sintesi ragionata degli elementi qualificanti gli esistenti sistemi regionali di accreditamento, nell’intenzione di preservare la qualità del modello ed evitare, al contempo, la sovrapposizione dei livelli nazionale e regionale di intervento e, di conseguenza, la ridondanza delle politiche. Sono stati così individuati i requisiti di ammissibilità giuridici e strutturali, comuni a tutti sistemi di accreditamento, e i requisiti aggiuntivi che ogni sistema di accreditamento, nell’ambito delle proprie specificità territoriali, può prevedere con riferimento al numero delle sedi operative, alla solidità economica, all’affidabilità ed all’esperienza e professionalità degli addetti.
Analogamente, con l’Accordo espresso nella seduta della Conferenza Unificata del 21 dicembre trova finalizzazione anche il Piano di Rafforzamento dei servizi per il lavoro, previsto dall’articolo 15, comma 1, del DL n. 78/2015 e richiamato nei due Accordi Quadro in materia di politiche attive (8). Il Piano di Rafforzamento, come noto, è volto a migliorare lo stato di erogazione delle misure di politica attiva nei confronti dei cittadino, mediante un utilizzo coordinato delle risorse della programmazione operativa regionale e nazionale. L’obiettivo è definire un quadro comune di riferimento, per orientare l’utilizzo delle risorse verso obiettivi concordati per il miglioramento e la qualificazione dei servizi per l’impiego, rafforzandone la base professionale, con l’immissione di 1000 operatori aggiuntivi - cui si sommeranno altri 600 operatori con profili legati al sociale per la presa in carico multidimensionale degli utenti destinatari di strumenti di inclusione attiva - a valere sulle risorse della programmazione operativa nazionale (9). Ciò sempre nel rispetto costante delle regole che presiedono l’utilizzo dei fondi europei e nell’alveo del principio di addizionalità degli stessi.
Le Regioni, sia nel lungo iter di stesura del Piano, sia in sede di espressione del parere presso la Conferenza Unificata, riunitasi già a maggio 2017, avevano ribadito l’importanza di pervenire all’approvazione del Piano, giunto ormai ad una formulazione condivisa, al contempo sottolineando la necessità di mantenere correlati ed integrati ambedue i piani: la stabilizzazione con risorse ordinarie nazionali del sistema e la sua crescita in una prospettiva futura. In questa logica, l’adozione del piano era stata “sospesa” in attesa che, con la legge di bilancio, si definissero le condizioni strutturali per la messa a regime.
Oggi che il Piano è stato perfezionato con l’Accordo, si apre di fatto una nuova fase di potenziamento dei servizi per l’impiego che, necessariamente, richiederà la congruità dei tempi e delle procedure da definire e porre in essere. A tal riguardo, già durante il negoziato con le amministrazioni centrali e, da ultimo, in sede di Conferenza, le Regioni hanno sottolineato l’esigenza di poter contare sulla massima autonomia e flessibilità organizzativa nel percorso di assunzione e allocazione delle risorse umane aggiuntive, valorizzando a tal fine le esperienze già in atto sui territori (tra cui, ad esempio, gli affidamenti di servizi a società in house ed il ricorso ad appalti). Parimenti hanno ribadito la necessità di mantenere una prospettiva unitaria rispetto all’intero complesso dei nuovi operatori addizionali, prevedendo modalità integrate nei canali e nelle procedure selettive, anche con riferimento ai profili professionali legati al welfare. Sarà, comunque, la convenzione bilaterale da sottoscrivere tra la singola amministrazione regionale e l’ANPAL che guiderà nel dettaglio tale percorso, sul piano organizzativo e finanziario.
Una volta delimitato il terreno, definite le regole del gioco, approntate le risorse e gli strumenti e, soprattutto, rafforzata la squadra, i tempi sembrerebbero maturi per iniziare veramente a giocare un nuova partita delle politiche attive, dove le Regioni e i loro “nuovi” servizi per l’impiego dovranno svolgere un ruolo da protagonisti, in raccordo con le funzioni assegnate dalla legge all’ANPAL, nell’ambito di una governance condivisa.
Il 2018 si configura, tuttavia, ancora come un anno di passaggio per l’entrata a regime di tutti gli elementi di novità descritti. L’impegno profuso da tutte le amministrazioni per arrivare fin qui è stato considerevole e non scontato; molto resta ancora da fare, per far davvero decollare i servizi con nuove, più solide basi e con rinnovati obiettivi, nell’ambito di un quadro di riferimento comune.