La quantificazione delle risorse
di Anna Chiara Serena
Settore Fse - Tecnostruttura
La prima novità della programmazione del Fse 2014-2020 è quella relativa alla modalità di determinazione dell’ammontare delle risorse del Fondo: la Commissione europea ha proposto di introdurre una quota minima (ring fencing) da dedicare al Fse per arrestare il graduale decremento a cui si stava assistendo in molti Stati membri da quasi 25 anni. A fronte di questa previsione regolamentare (1) 18 Stati hanno deciso di allocare sul Fondo sociale più del minimo indispensabile. Tra questi l’Italia.
Di seguito l’estratto di una tabella elaborata dalla Commissione in cui si mettono a confronto le scelte operate nel nostro Paese con quelle di altri Stati membri.
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Minimum allocation |
Actual allocation |
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Country |
% of Structural Funds |
€ current prices |
€ current prices |
% of Structural Funds |
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Germany |
36.8% |
6.723.160.961 |
7.495.616.321 |
41.0% |
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Spain |
27.7% |
7.478.571.457 |
7.589.569.137 |
28.1% |
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France |
41.7% |
6.026.907.278 |
6.026.907.278 |
41.7% |
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Italy |
26.5% |
8.246.466.857 |
10.467.243.230 |
33.6% |
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United Kingdom |
45.9% |
4.942.593.693 |
4.942.593.693 |
45.9% |
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EU28 |
80.323.039.055 |
86.428.676.444 |
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Fonte: Commissione europea, dati al 08/10/2014
Appare chiaro che l’Italia non ha seguito strade originali: come la maggior parte dei Paesi ha aumentato la soglia minima, ma si colloca, in termini percentuali, ancora lontano dal 40%-45% di Germania, Francia e Regno Unito. Si attesta al 33%, vicino al livello di Stati meno sviluppati, essendo un paese con aree eterogenee ed avendo il Sud del Paese ancora bisognoso di significativi livelli di investimenti infrastrutturali (2). Le scelte delle Regioni, suddivise per categorie, infatti, confermano che in media quelle più sviluppate hanno allocato sul Fse il 49%, quelle in transizione il 33% e quelle meno sviluppate il 19%.
Complessivamente l’Italia per il 2014-2020 avrà a disposizione di Fse circa 10,5 miliardi di euro, di cui quasi 6 mld a livello regionale e circa 4,5 a livello nazionale.
Il Fondo sociale europeo nella politica di coesione, tra crescita e austerity
Svolgendo i compiti indicati nel regolamento specifico, il Fse rafforza la coesione e aiuta gli Stati membri a realizzare gli obiettivi di crescita della Strategia Europa 2020 (3). D’altro canto i fondi strutturali hanno come missione quella di rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale ed “inoltre” contribuiscono alla Strategia di Europa 2020 (4).
Tale rapporto funzionale tra la politica di coesione ed EU2020 nei regolamenti appare quasi incidentale, sicuramente meno stringente di quanto inizialmente la Commissione avesse immaginato, anche in linea con quanto auspicato dalle Regioni italiane. Nel corso della fase ascendente sul regolamento del Fse, infatti, allo scopo di valorizzare la dimensione territoriale propria della politica di coesione e riposizionare in un corretto rapporto i problemi e i divari regionali con la Strategia Europa 2020, le Regioni avevano proposto di rendere meno stringente l’impatto degli orientamenti e delle raccomandazioni (rivolte agli Stati membri) sui PO di Fse (5). Tuttavia attraverso il modello di template dei PO la Commissione europea ha richiesto che i programmi si aprissero proprio con la “Descrizione della strategia del programma per contribuire alla realizzazione della strategia dell'Unione per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva e per il conseguimento della coesione economica, sociale e territoriale”, riponendo sullo stesso piano le due “missioni” e postponendo la coesione alla crescita di EU2020 (6).
Ad ogni modo, accantonando la “collocazione gerarchica” tra le due politiche per il Fse non si tratta di una novità, infatti è dall’avvio del processo di Lussemburgo, dall’inserimento nel trattato del titolo sulla politica per l’occupazione alla fine degli anni ‘90, che il “Fse contribuisce alle azioni intraprese nell’ambito della Strategia europea per l’occupazione”(7).
Appare invece effettivamente nuova l’articolazione del rapporto tra la politica di coesione e le politiche macroeconomiche degli Stati membri. Ci si riferisce a quella che durante il negoziato sui regolamenti è stata definita la “condizionalità macroeconomica”: con tale termine si intendono “le misure per collegare l’efficacia dei fondi SIE a una sana governance economica”.
Tale condizionalità si applica per mezzo di due meccanismi distinti: il primo in base al quale la Commissione può chiedere a uno Stato membro di riprogrammare parte dei finanziamenti quando ciò è giustificato dalle sfide economiche e occupazionali individuate nell’ambito di varie procedure di governance economica, così ad esempio all’Italia potrebbe essere chiesto di riprogrammare il Fse per “potenziare il coordinamento e l'efficienza dei servizi pubblici per l'impiego in tutto il Paese” e soddisfare così una delle raccomandazioni del Consiglio del 2104; e un secondo meccanismo in base al quale la Commissione è tenuta a proporre al Consiglio una sospensione dei fondi quando si realizzano alcune condizioni previste dalle diverse procedure di governance economica, come ad esempio quelle relative al disavanzo eccessivo (8).
Sebbene nella versione iniziale del regolamento il collegamento tra i fondi SIE e i risultati delle politiche macroeconomiche fossero stati immaginati ancora più stringenti (9), comunque la possibilità di arrivare ad una sospensione degli impegni o dei pagamenti rendono evidente lo spazio di manovra che le istituzioni europee si riservano nei confronti degli Stati affinché l’“orientamento ai risultati” possa essere effettivo. Ad ogni modo i “risultati” che vanno considerati non sono solo quelli della politica di coesione o quelli di Europa 2020, orientati agli investimenti e alla crescita - ed in particolare per il Fse alle risorse umane - ma anche quelli macroeconomici indirizzati invece all’equilibrio di bilancio e all’austerità.
Gli ambiti di intervento
Rispetto alle azioni finanziabili con il Fse non sembrano registrarsi per la programmazione 2014-2020 grandi novità.
Dando per conosciute le previsioni regolamentari sul campo di intervento del Fse, di seguito si cercherà di fornire un quadro sulle scelte più importanti operate dalle Regioni, anche in prospettiva storica attraverso una comparazione con le due programmazioni precedenti.
In allegato si riporta una tabella con tutti i dati dei POR 2014-2020 in valori assoluti e percentuali (sia per OT che per priorità).
A conferma della continuità tra le programmazioni si può ricordare che l’inclusione sociale è stata presente nei programmi operativi fin dal 2000, anche se sicuramente con una quantificazione di risorse assai meno rilevante. Le Regioni infatti nella programmazione 2000-2006 avevano allocato sull’asse (nell’obiettivo 3) o sulla misura (nell’obiettivo 1) corrispondente mediamente circa il 7%; nella programmazione 2007-2013 sono arrivate a poco meno del 10%; mentre sui POR 2014-2020 superano la soglia minima del 20%. A tale proposito si ricorda che la previsione regolamentare di dedicare almeno il 20% del totale del Fondo nello Stato membro all’inclusione sociale appare una novità, soprattutto perché in passato i vincoli finanziari più significativi non trovavano fondamento nelle norme comuni a tutti gli Stati membri, ma emergevano dai negoziati con la Commissione europea (10). L’attuale soglia minima sull’inclusione, pertanto, potrebbe essere letta sia in collegamento con il “ring fencing” sul Fse sia con le soglie previste per la concentrazione tematica. Il ricorso a soglie e vincoli percentuali potrebbe essere considerata come l’opzione di rigore tradotta nella politica di coesione, su cui le Regioni italiane avevano provato a suggerire maggiore flessibilità nella fase ascendente, ma con scarso successo (11).
Nelle passate programmazioni le risorse allocate sull’inclusione sociale sono state utilizzate soprattutto per finanziare politiche attive del lavoro (formazione, orientamento, work experiences e incentivi all’occupazione, nonché forme integrate di tali interventi, a favore di soggetti svantaggiati); nel 2014-2020 si continuerà senz’altro a finanziare questa tipologia di azioni, ma la maggior parte delle Regioni, in forma sistematica o sperimentale, procederà anche a finanziare interventi di politica sociale in senso stretto, avendo anche scelto, oltre la priorità dell’inclusione attiva, anche quella relativa al miglioramento dell’accesso ai servizi, in particolare ci si riferisce ai servizi di cura per l’infanzia e la non autosufficienza. Un evidente orientamento in via esclusiva alle politiche sociali è contenuto nel PON Inclusione che dovrebbe finanziare, con circa il 95% della sua dotazione (750 meuro di Fse), i servizi di accompagnamento al Sostegno per l’Inclusione Attiva (SIA) ossia alla nuova “social card”.
La priorità relativa all’inclusione attiva è una delle quattro su cui le Regioni italiane hanno concentrato l’80% - 70% - 60% del Fse (al netto dell’AT) a seconda della categoria di appartenenza (più sviluppate, in transizione, meno sviluppate), come richiesto dalla previsione, orientata ai risultati, sulla concentrazione tematica. Le altre tre priorità, come risulta dalla tabella allegata, in ordine decrescente sono: quella relativa alla promozione dell’occupazione per disoccupati e inattivi, la priorità dedicata ai giovani e quella relativa alla riduzione e prevenzione dell’abbandono scolastico.
Sulla priorità più generale ossia quella dedicata all’incremento dell’occupazione, in considerazione dei compiti del Fse già stabiliti nel trattato del 1957, si riscontra una continuità che ha visto però un decremento sia percentuale sia in valori assoluti degli investimenti dal 2000. Dalle misure attive e preventive che raggiungevano quasi il 30% del Fse (poco meno di 2 mld di euro), si è passati nella programmazione 2007-2013 a poco più del 15%, comprendendo anche le politiche per l’invecchiamento attivo (12) (poco meno di 1 mld di euro); oggi nel 2014-2020 oltre il 17% del Fse andrà a finanziare interventi per favorire l’occupazione. Tra queste azioni il Fse promuoverà “Misure di politica attiva per l’inserimento ed il reinserimento nel mercato del lavoro” tra cui formazione e incentivi alle assunzioni. Per quanto riguarda la formazione si tratterà principalmente di corsi finalizzati all’acquisizione di qualifiche (13).
L’area di intervento che tradizionalmente è stata centrale per il Fse fin dalle origini, ossia la formazione per i lavoratori, sembra invece che in questo ciclo programmatorio abbia uno spazio più ridotto, anche su spinta della Commissione europea che nel suo Position Paper per il negoziato non la considerava una priorità rilevante per il nostro Paese. L’adattamento dei lavoratori raccoglie poco più del 5% dello stanziamento del Fse, mentre nel 2000-2006 arrivava quasi al 12% con quasi 750 meuro di stanziamento e nel 2007-2013 a circa il 16% con circa 1 mld di euro sull’asse adattabilità (14).
Ai giovani le Regioni hanno iniziato a dedicare politiche e risorse già nel corso della programmazione 2007-2013 (15); oggi hanno allocato alla priorità specifica oltre il 15%, quasi 1 miliardo di euro, a cui vanno aggiunti 1,5 miliardi del PON Occupazione Giovani, che ha accolto lo stanziamento della YEI. Inoltre le risorse che le Regioni hanno allocato sulla quarta priorità della concentrazione, ossia il contrasto alla dispersione, possono essere in larga misura ricondotte ad interventi a favore dei giovani, in particolare attraverso il finanziamento di percorsi formativi di IeFP.
Nel confronto tra le programmazioni un dato interessante, anche alla luce dell’accordo quadro tra Governo e Regioni in materia di politiche attive del lavoro siglato il 30 luglio 2015, è quello relativo all’ammodernamento delle istituzioni del mercato del lavoro. All’organizzazione dei Servizi per l’impiego nel 2000-2006 le Regioni hanno dedicato il 7,5% del Fse, quasi 500 meuro, nel 2007-2013 l’ammontare è cresciuto fino ad oltre 630 meuro, con oltre il 10% del totale Fse, mentre nella programmazione 2014-2020 la cifra è scesa a meno di 250 meuro e rappresenta poco meno del 4%. Su tale scelta regionale potrebbe aver influito la poca chiarezza delle politiche nazionali in questo ambito: da un lato, l’eliminazione delle Province e la creazione dell’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (ANPAL) e, dall’altro, il disegno di riforma costituzionale con il recupero al centro della competenza esclusiva in materia di lavoro (16).
Infine sulla capacità istituzionale della PA negli stanziamenti dei POR si assiste ad una sostanziale continuità: dai 165 meuro allocati per l’adeguamento delle competenze della PA nel 2000-2006, ai 130 delle sole Regioni Convergenza nel 2007-2013, si arriva a poco più di 160 meuro allocati sul relativo asse da tutte le Regioni nel 2014-2020. D’altro canto investimenti significativi sulla capacità amministrativa vengono realizzati a livello centrale, attraverso i Programmi nazionali, in particolare il PON Governance, Reti e AT stanzia più di 600 meuro, di cui oltre la metà di Fse, nonché attraverso la creazione dell’Agenzia per la Coesione. Inoltre tutte le amministrazioni che gestiscono Programmi operativi in Italia sono state chiamate a redigere un “piano di rafforzamento amministrativo” in cui potranno confluire anche altre risorse (17).
Nuovi e vecchi strumenti per ottenere una maggiore concentrazione, ma su quali risultati?
La tipologia dei risultati da raggiungere con il Fse appare piuttosto varia: avendo già fatto riferimento agli obiettivi di EU 2020 e a quelli di una sana governance economica, che rimangono sullo sfondo, il primo genere di risultato su cui in Italia appare lecito soffermarsi è quello relativo al pieno utilizzo delle risorse finanziarie a disposizione.
Dal 2000 ad oggi, nonostante gli innegabili problemi e i diversi espedienti che in alcuni casi sono stati utili, il Fse è stato impegnato ben oltre il 100% sia nel 2007-2013, sia nel 2000-2006, rispettivamente in termini assoluti più di 12 miliardi di euro e quasi 14 miliardi di euro (18).
Per quanto concerne i dati del pagato dai beneficiari, la programmazione 2000-2006 è arrivata al traguardo del 100%, mentre i dati regionali della 2007-2013, al 30 giugno 2015, vanno oltre l’87% (19). Alla luce dell’andamento della spesa nel secondo semestre del 2014 il dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione prevede che si potrebbe “centrare l’obiettivo del pieno utilizzo delle risorse”; inoltre, rispetto alla media europea delle spese certificate e pagate da Bruxelles, l’Italia si colloca immediatamente sotto il valore medio, con una performance migliore rispetto a Francia, Regno Unito, Belgio e Olanda (20).
Relativamente ai risultati sul piano finanziario, per la Commissione europea evidentemente è rilevante anche il tempo che si impiega a spendere i soldi, tanto da aver inserito, già nella programmazione 2000-2006, la regola del disimpegno automatico N+2, confermata nel 2007-2013, in base alla quale i soldi non spesi entro due anni da quando la Commissione li ha impegnati sul proprio bilancio vengono tolti dalla disponibilità dell’AdG che non li ha spesi. Questo tipo di risultato sulla velocità di spesa è stato oggetto di minor considerazione e si è quindi ampliato il tempo di spesa fino a tre anni: per il 2014-2020 varrà la regola dell’N+3 (21).
Tuttavia la maggiore concentrazione ai risultati, riutilizzando uno strumento già previsto nella 2000-2006, passa anche attraverso l’introduzione di una riserva finanziaria di performance: il 6% delle risorse di ciascun programma sarà sottoposto ad una verifica di efficacia dell’attuazione da parte della Commissione nel 2019 e potrà essere effettivamente utilizzato solo nel caso questa verifica abbia esiti positivi. In pratica in ogni PO Fse, per ogni asse, sono stati inseriti dei target quantificati da raggiungere entro il 2018, sia per un indicatore finanziario relativo alle spese certificate a Bruxelles, sia per uno o più indicatori di realizzazione relativi ai partecipanti.
Tutto sommato, quindi, anche nel 2000-2014, la capacità di spesa, ossia i risultati di tipo finanziario, continuano a rimanere centrali nella valutazione della Commissione sull’efficacia di un programma operativo, così come l’importanza attribuita alle realizzazioni fisiche.
Il secondo tipo di risultato al quale ci si può riferire è appunto quello relativo alle realizzazioni fisiche che si sono raggiunte con il Fse in termini di progetti e di destinatari (22). Nel 2000-2006 i progetti conclusi dalle sole Regioni dell’Obiettivo 3 erano oltre 320.000 per oltre 5 milioni di destinatari (23); mentre dai dati disponibili sui Rapporti annuali di esecuzione di tutte le Regioni per il 2007-2013, al 31 dicembre 2014, risultano conclusi 722.945 progetti e raggiunti 4.545.757 destinatari (24).
I risultati in senso stretto, tecnicamente gli indicatori di risultato, nel corso delle passate programmazioni sono stati oggetto di individuazione e interpretazione eterogenea da parte dei gestori dei fondi strutturali, ma di tale vulnus le istituzioni europee si sono occupate inserendo nella programmazione 2014-2020 indicatori di risultato comuni obbligatori (25). Per il Fse ogni AdG dovrà trasmettere alla Commissione, nella Relazione di attuazione, i dati relativi a numerosi indicatori non solo di realizzazione sui partecipanti, ma anche di risultato, tra cui ad esempio, dopo l’intervento di Fse, quanti partecipanti trovano un lavoro dalla conclusione del corso di formazione, quanti inattivi cercano lavoro, quanti intraprendono studi o corsi di formazione, quanti ottengono una qualifica. E la rilevazione sarà a breve (nell’immediatezza della conclusione dell’azione finanziata dal Fse) e a lungo temine (entro sei mesi dalla conclusione dell’azione). Attraverso questo genere di dati sarà possibile anche valutare gli impatti dell’intervento del Fse e quindi il suo contributo al raggiungimento dei target italiani di UE 2020, su cui appare senz’altro più complesso dimostrare il collegamento con gli interventi finanziati dai fondi.
Sempre in un’ottica innovativa più orientata ai “risultati in senso stretto” si può leggere l’introduzione delle condizionalità ex ante, prerequisiti dei sistemi nazionali o regionali in cui si realizzano le azioni finanziate, necessari per il raggiungimento degli obiettivi corrispondenti alle priorità di investimento. Tuttavia nella maggior parte dei casi per il Fse la condizione non appariva particolarmente significativa o comunque in molti casi si è ridotta ad una verifica formale dell’esistenza di atti. Trasversalmente alle Regioni, per il Fse, solo due condizionalità ex ante - sugli Aiuti di Stato e sugli Appalti - potrebbero determinare qualche difficoltà.
Infine nel 2014-2020 non pare ancora aver trovato effettività la semplificazione delle regole di gestione e controllo che, invocata da decenni a livello europeo, nazionale e regionale, sarebbe un ottimo strumento per agevolare il raggiungimento di tutti i tipi di risultato ricordati. A fronte dell’inserimento di ulteriori forme di semplificazione dei costi (modalità di rendicontazione su cui si iniziano a nutrire alcuni dubbi in considerazione degli oneri ulteriori in termini di controlli), sono state modificate le previsioni sui sistemi di gestione e controllo sia inserendo nuovi adempimenti, tra cui ad esempio la designazione dell’AdG, sia ridisegnando i flussi finanziari tra Stati e Commissione con la presentazione annuale dei conti che non appare certo come una semplificazione.
Pertanto non è la complessità del quadro programmatorio (di fatto sebbene sia cambiata la terminologia, l’articolazione e i contenuti non sono sostanzialmente modificati) a rendere difficile l’utilizzo dei fondi, ma, da un lato, la complessità delle regole europee che devono tenere in considerazione i sistemi di 28 Stati membri nonché le esigenze di un’amministrazione composita come la Commissione europea, e dall’altro lato, con particolare gravità per il Fse negli ultimi anni in Italia, la governance multilivello che appare assai articolata ed eccessivamente instabile (26).