Premessa
di Cristina Iacobelli
Settore Lavoro - Tecnostruttura
Dopo un anno torniamo ad affrontare la tematica dei servizi per il lavoro. L’occasione è duplice: da una parte, siamo allo scadere del biennio di durata contemplato nell’Accordo Quadro del 30 luglio 2015 in materia di politiche attive del lavoro; dall’altra, siamo all’indomani del suo rinnovo anche per il 2017 da parte della Conferenza Stato – Regioni, avvenuto lo scorso 22 dicembre. In questa sede, pertanto, appare utile ricostruire lo stato dell’arte della riflessione istituzionale e ripercorrere le tappe principali del percorso di attuazione dell’Accordo, sottoscritto dallo Stato e dalle Regioni per garantire una continuità di servizio ai cittadini ed agli operatori dei CPI.
Nel momento in cui scriviamo si è appena conclusa anche la fase di consultazione referendaria sull’assetto costituzionale, con la conferma dell’impianto attuale di riparto delle competenze tra lo Stato e le Regioni e, in tale ambito, della relativa potestà legislativa concorrente in materia di tutela e sicurezza del lavoro. Ad oggi, pertanto, tenendo conto delle interpretazioni offerte in più occasioni dalla Corte costituzionale (1) in merito alla declinazione in concreto di tale materia e per l’individuazione degli aspetti attinenti al versante lavoristico che possono essere ricondotti nell'alveo della regolazione regionale - tra cui la definizione e l’erogazione delle politiche attive, l’organizzazione dei servizi per l’impiego, le forme di cooperazione tra pubblico e privato e le procedure per il collocamento dei lavoratori - le Regioni mantengono il ruolo centrale che gli è stato riconosciuto nel 2001 dalla prima riforma del Titolo V, Capo II della Costituzione.
Il sistema italiano dei servizi per l’impiego si trova, dunque, ad un bivio, tra passato e futuro, processi di riforma avviati e non conclusi ed un presente ancora da decifrare e, per certi versi, da garantire.
È trascorso più di un anno anche dall’entrata in vigore del D. Lgs. 150/2015, attuativo della legge delega n. 183 del 2014 (cd. Jobs Act) e recante disposizioni di profondo riordino del sistema dei servizi per il lavoro, riconfigurati ora quali uffici amministrativi di livello regionale. Il provvedimento, ad oggi, necessita di essere ulteriormente declinato attraverso atti normativi e disposizioni secondarie, ai fini della sua completa operatività; permangono dunque ancora profili aperti che, in un ragionamento complessivo sul sistema dei servizi per l’impiego e sui suoi possibili scenari evolutivi, si rifletteranno necessariamente sull’impostazione del modello di erogazione delle politiche del lavoro che si intende costruire.
Sul piano regionale, in concomitanza con la stagione di cruciale rinnovamento del sistema, si è registrata un’attenzione prioritaria alla riforma dei servizi per il lavoro, con un dibattito interistituzionale progressivamente divenuto sempre più acceso e vivace. Alla base, l’obiettivo di sviluppare comunque una vision regionale condivisa e condizioni comuni di sistema, in merito alle reali problematiche dei servizi, alle prospettive sostenibili di una loro evoluzione ed alle soluzioni concrete, per quanto temporanee, da approntare attraverso l’impegno e la volontà di tutti i decisori politici. Anche nel 2016 le problematiche dei servizi per l’impiego sono state così costantemente poste all’ordine del giorno nell’agenda dei lavori della IX Commissione della Conferenza della Regioni e delle Province autonome; parallelamente, sul piano tecnico e politico si è sviluppata un’intensa interlocuzione con le amministrazioni centrali, con la finalità primaria di fare rete e verificare in modo congiunto gli impatti reali sul territorio delle manovre messe in campo e, ove necessario, individuare in modo tempestivo gli opportuni meccanismi correttivi. Il negoziato tra lo Stato e le Regioni è stato lungo e articolato; nel corso dell’anno gli assessori regionali al lavoro hanno più volte incontrato e sottoposto all’attenzione del ministro del Lavoro e delle Politiche sociali le questioni dirimenti riguardanti il funzionamento dei Centri per l’Impiego e il relativo personale.
È ormai noto, infatti, come i servizi per l’impiego abbiano dovuto fronteggiare negli ultimi due anni una fase di grande incertezza e difficoltà operativa. Pur nella transitorietà e diversità delle soluzioni individuate, con senso di responsabilità istituzionale le amministrazioni regionali hanno costantemente cooperato tra di loro e con il livello centrale per tutelare e sostenere i CPI e i lori operatori, coinvolti in prima persona nel processo di superamento delle Province e di parallela loro riorganizzazione nell’ambito di enti di area vasta, indotto dalla legge n. 56 del 2014 (cd. Legge Delrio). Ciò nella consapevolezza che solo attraverso uno sforzo congiunto tra lo Stato e le Regioni – anche andando oltre la rigida separazione delle sfere di rispettiva competenza costituzionale - si potesse davvero sostenere i servizi per l’impiego e metterli nella condizione di svolgere il ruolo fondamentale che lo stesso Jobs Act assegna loro, in qualità di infrastrutture primarie del mercato del lavoro, deputate all’erogazione ai cittadini di politiche attive, che ai sensi della legge nazionale si configurano oggi come livelli essenziali delle prestazioni (LEP) (2).
L'Accordo Quadro in materia di politiche attive 2015 -2016 e il suo rinnovo per il 2017
La logica della leale collaborazione istituzionale ha guidato Stato e Regioni nella sottoscrizione dell’Accordo Quadro in materia di politiche attive del 30 luglio 2015. Con l’Accordo, infatti, in una fase del tutto transitoria del mercato del lavoro e in attesa che si chiarisse il panorama di riferimento costituzionale, Regioni e Stato hanno assunto la priorità di garantire la continuità di funzionamento dei CPI a partire dal sostegno ai loro operatori. A monte, la volontà delle Regioni di preservare il proprio ruolo sulla gestione complessiva delle politiche attive, almeno fino a quando non si fosse sciolto il nodo della riforma della Costituzione, accompagnando i processi di riforma in atto senza un’interruzione di servizio. A valle, l’esigenza di porre rimedio alla situazione di incertezza organizzativa che nella macchina amministrativa si stava producendo nell’ambito dell’attuazione della legge n. 56/2014, con la necessaria riallocazione – con diverse modalità - del personale dei servizi per l’impiego delle ex Province nei ranghi regionali, ovvero con il suo mantenimento in via temporanea presso gli enti di area vasta e/o città metropolitane. In questo senso, la focalizzazione degli interventi ha coinvolto, in tale fase, le Regioni a statuto ordinario, nelle quali doveva essere realizzato il processo di riordino delle funzioni provinciali messo in moto dalla Legge Delrio.
L’elemento cardine dell’Accordo Quadro, con valenza biennale (2015 e 2016), è la compartecipazione finanziaria tra lo Stato e le Regioni, rispettivamente nella misura di due terzi e un terzo del fabbisogno, per la copertura dei costi relativi agli operatori a tempo indeterminato dei centri per l’impiego. In concomitanza, l’amministrazione centrale e le amministrazioni regionali si impegnano ad individuare le modalità più opportune affinché il personale dei CPI possa continuare ad operare senza soluzione di continuità, assicurando il miglior rapporto funzionale tra lo stesso e le Regioni. Modalità attuativa prevista nell’Accordo è la convenzione bilaterale tra il ministero del Lavoro e ciascuna Regione, che si configura come lo strumento di regolazione della collaborazione interistituzionale e di valorizzazione delle buone pratiche presenti sul territorio, in una prospettiva che – come esplicitato nell’Accordo Quadro stesso – potrebbe guardare anche oltre all’eventuale riassetto delle competenze costituzionali. Inoltre, lo Stato e le Regioni si impegnano a definire congiuntamente un piano generale di raccordo delle azioni in materia di politiche attive per il lavoro, contenute nella programmazione operativa nazionale e regionale a valere sui fondi europei 2014 -2020.
Gli impegni assunti nell’Accordo hanno trovato una corrispondenza nel dettato normativo, sia sul piano finanziario che sul piano organizzativo.
Sul piano finanziario, con l’art. 15, comma 3 del decreto legge n. 78/2015, convertito nella legge n. 125/2015 (cd. Decreto Enti locali), sono state stanziate per il biennio 2015 - 2016 risorse nazionali, a valere sul Fondo di Rotazione, pari a 90 milioni annui di euro e finalizzate alla partecipazione del ministero del Lavoro al sostegno dei costi del personale a tempo indeterminato delle Province, impiegato in compiti di erogazione dei servizi per l’impiego nelle Regioni a statuto ordinario. Tale importo è stato successivamente incrementato di 50 milioni annui dal D. Lgs. 150/2015 (art. 33, comma 1), con un ammontare complessivo di 140 milioni annui destinati alla copertura del personale a tempo indeterminato dei CPI.
A tale fronte economico, inoltre, sulla base delle esigenze emerse sul territorio e più volte segnalate dalle Regioni nel confronto con le amministrazioni centrali (3), si è aggiunto nel corso dell’anno lo stanziamento, ad opera dell’art. 4, comma 2, del D. Lgs. 185/2016 (Decreto Correttivo del Jobs Act), di ulteriori risorse pari a 30 milioni per il 2016, che vanno ad incrementare le risorse già previste dal citato art. 33, comma 1 del D. Lgs. 150/2015. Si tratta, secondo quanto pattuito nel negoziato con il ministero, di ulteriori risorse deputate a sostenere i costi fissi di funzionamento dei CPI (4); come si illustrerà a breve, la copertura di tali oneri – non esplicitamente contemplati nell’Accordo Quadro del 2015 – costituisce invece una parte qualificante del suo rinnovo per il 2017.
Sul piano normativo, il comma 2 del citato articolo 15 del DL 78/2015 prevede, ai fini del trasferimento delle risorse nazionali, la sottoscrizione di una convenzione tra ministero del Lavoro e Regioni, finalizzata a regolare i relativi rapporti e gli obblighi in relazione alla gestione dei servizi per l’impiego e delle politiche attive nel territorio regionale. In questo perimetro, inoltre, si innesta con una valenza più ampia il D. Lgs. 150/2015, che introduce le disposizioni chiave per la costruzione del nuovo sistema di servizi per il lavoro, basato su uffici territoriali regionali denominati “centri per l’impiego” e sui soggetti privati accreditati.
In particolare, con gli articoli 11, 12 e 18 del decreto legislativo vengono definiti i principi e individuati i pilastri della nuova organizzazione territoriale del sistema, dell’interazione tra il pubblico e il privato - nell’ambito di un regime di accreditamento dei servizi per il lavoro che prevede la costituzione di un albo nazionale - e della declinazione di una serie di servizi e misure di politica attiva che le Regioni, direttamente tramite i CPI, ovvero per il tramite dei soggetti accreditati, sono chiamate ad erogare alle categorie di utenti individuate dalla norma nazionale (alla luce della nuova definizione dello stato di disoccupazione stabilita nell’articolo 19): disoccupati, lavoratori percettori di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro e lavoratori a rischio di disoccupazione.
Nel dettaglio, è l’articolo 11 che dispone la sottoscrizione di convenzioni bilaterali tra il ministero del Lavoro e ciascuna Regione e Provincia autonoma, finalizzate a regolare i relativi rapporti e obblighi in relazione alla gestione dei servizi per il lavoro e delle politiche attive del lavoro nel territorio, allo scopo di garantire livelli essenziali di prestazioni attraverso meccanismi coordinati di gestione amministrativa. Il contenuto di tale convenzione, secondo la norma, deve conformarsi ai principi del provvedimento stesso, tra cui si conferma primariamente l’attribuzione delle funzioni amministrative in materia di politiche attive del lavoro alle Regioni, che sono tenute a garantire l’esistenza e la funzionalità di uffici territoriali aperti al pubblico (CPI). Le strutture regionali, dunque, si confermano responsabili dello svolgimento in forma integrata degli interventi di politica attiva del lavoro, come codificati nell’articolo 18 del decreto legislativo e finalizzati alla costruzione di percorsi personalizzati per l’inserimento/reinserimento nel mercato occupazionale dei destinatari dei servizi. Parimenti, le strutture regionali sono chiamate dalla norma ad individuare le misure di attivazione rivolte ai beneficiari di ammortizzatori sociali residenti nel territorio ai fini dell’applicazione del meccanismo di condizionalità (5).
Nell’ambito della nuova cornice normativa delineata dal Jobs Act e alla luce di tali impulsi, tra il 2015 ed il 2016 si è dato seguito agli impegni assunti con l’Accordo Quadro. Sullo sfondo, come ricordato, la necessità di attuare le disposizioni della Legge Delrio; in prospettiva, lo scenario che era ancora in evoluzione della modifica costituzionale.
Il 20 ottobre 2015 la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ha licenziato uno schema - tipo di convenzione bilaterale tra Regione e ministero del Lavoro, attuativa sia dell’articolo 11 del D. Lgs. 150/2015 sia dell’articolo 15 della legge 125/2015. Nell’ambito dello schema di convenzione, con valenza per le annualità 2015 e 2016 (6)- vengono così definiti i rapporti e individuate le rispettive funzioni tra il ministero, l’ANPAL e le Regioni in merito alla gestione dei servizi per il lavoro e delle politiche attive; è questo il terreno, inoltre, in cui si affronta – seppur con soluzioni temporanee - la complessa problematica delle modalità di gestione del personale dei CPI proveniente dai ranghi provinciali, unitamente – per le sole Regioni a statuto ordinario - al quadro finanziario, riguardante la compartecipazione tra i livelli istituzionali tesa a far fronte alle spese relative al personale a tempo indeterminato direttamente impiegato in compiti di erogazione di servizi per l’impiego. Con riferimento specifico al tema del personale, la convenzione – tipo recepisce tre modalità differenti di allocazione istituzionale del personale:
1) assegnazione temporanea di ufficio ai CPI delle Regioni o delle Agenzie regionali, costituiti ai sensi dell’art. 18 del decreto legislativo n. 150/2015;
2) assegnazione temporanea alle Regioni o alle Agenzie regionali per lo svolgimento delle attività connesse con i servizi e le misure di politica attiva del lavoro, nelle more della costituzione dei CPI ex art. 18;
3) avvalimento del personale da parte delle Regioni allo scopo di garantire la continuità delle attività connesse con i servizi e le misure di politica attiva del lavoro. In alternativa, la convenzione – tipo prevede un’ulteriore modalità attuativa, che vede l’attribuzione della gestione dei CPI con il relativo personale in via transitoria in capo alle città metropolitane ed agli enti di area vasta, salvo comunque il rispetto da parte della Regione degli impegni finanziari sanciti nell’Accordo e declinati nella convenzione.
Sulla base di questo schema, si è avviata sul territorio l’attività di approvazione e sottoscrizione delle singole convenzioni bilaterali tra ciascuna Regione e ministero del Lavoro, dipanatasi lungo tutto il finire del 2015 fino alla prima metà del 2016. La definizione dei contenuti della convenzione ha rappresentato per ogni amministrazione regionale una scelta di non poco conto, non solo in termini di carattere finanziario, ma a monte in termini di governance e di disegno, seppur transitorio, del modello di gestione dei CPI. Dal monitoraggio effettuato dal Coordinamento tecnico della IX Commissione, risulta che tra le quindici Regioni a statuto ordinario sette amministrazioni regionali hanno optato per il mantenimento temporaneo dei CPI e del relativo personale in capo agli enti di area vasta e/o città metropolitane; in alcuni casi, tale mantenimento è avvenuto comunque nelle more della costituzione di una Agenzia regionale, cui in prospettiva attribuire il personale. Nelle altre realtà, invece, si è scelta la strada dell’assegnazione temporanea (mediante gli istituti del distacco o del comando) del personale ai Dipartimenti regionali ovvero alle Agenzie regionali del lavoro (già presenti sul territorio, come derivazione del decentramento amministrativo ex D.Lgs. 469/1997, ovvero di nuova costituzione), oppure si è preferito utilizzare la forma giuridica dell’avvalimento in modalità rafforzata, con l’attribuzione alla Regione di poteri direttivi e organizzativi nei confronti del personale, pur formalmente restante nelle ex Province quali datori di lavoro. In talune esperienze, le esigenze del territorio hanno suggerito il ricorso congiunto a più istituti e modalità - nella rosa delle possibilità organizzative offerte dalla convenzione - nell’ambito comunque di un percorso graduale con diverse fasi attuative; ciò sempre in attesa di una maggiore razionalizzazione del sistema, attraverso il chiarimento della cornice istituzionale.
Alla sottoscrizione delle convenzioni tra amministrazione centrale e amministrazioni regionali è susseguita la firma nei singoli territori delle convenzioni di “secondo livello” tra la Regione e gli enti di area vasta/città metropolitane, per la definizione e la regolazione dei rispettivi rapporti e obblighi in relazione alla individuazione e gestione concreta del personale dei CPI coinvolto nel processo. Anche questo, di fatto, è risultato un processo lungo e laborioso – in alcuni casi solo di recente perfezionamento - che ha registrato a volte anche ritardi significativi sul piano amministrativo, legati purtroppo alla situazione diffusa di oggettiva incertezza sul futuro professionale degli operatori provinciali e sulle necessarie coperture finanziarie del sistema.
Sul piano economico, a seguito degli stanziamenti statuiti con la manovra sugli enti locali, sono intervenuti, rispettivamente, tre decreti direttoriali da parte del ministero del Lavoro per l’erogazione alle Regioni delle risorse relative all’annualità 2015 e 2016, sulla base del numero effettivo dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato direttamente impiegati in compiti di erogazione di servizi per l’impiego. Ci si riferisce, in particolare, al decreto direttoriale n. 377/V/2015 del 18 novembre 2015, con cui sono state erogate le risorse relative al 2015; al decreto direttoriale n. 180 del 20 giugno 2016, con cui è stata erogata la prima tranche, pari al 50%, delle risorse relative al 2016; infine, al decreto direttoriale n. 368 del 17 novembre 2016, con cui è stata assegnata la seconda tranche, a saldo, delle risorse relative al 2016. Con l’ultimo decreto, in particolare, sono state anche ripartite le risorse aggiuntive per gli oneri fissi di funzionamento dei CPI, previste dal richiamato Decreto Correttivo del Jobs Act. Si tratta di una componente aggiuntiva di risorse più volte sollecitata dalle Regioni nelle occasioni di confronto interistituzionale, in quanto indispensabile per far fronte ai costi fissi dei CPI, tra cui, ad esempio, quelli relativi ai beni materiali e immateriali necessari per l’erogazione dei servizi (tra cui i beni immobili, la strumentazione tecnica, le utenze, le licenze per i software). In tale ambito, una quota prevalente dei costi di gestione è risultata, di fatto, assorbita dalle spese per gli immobili da adibire a CPI, che afferivano al patrimonio delle ex Province, ovvero in alcune realtà dei Comuni.
Nel mese di giugno è intervenuta una fase intermedia di verifica dell’Accordo, prevista dallo stesso come momento di riflessione tra i soggetti istituzionali per monitorare lo stato di avanzamento degli interventi e focalizzare le problematiche emergenti nei territori. Dalla verifica è scaturita l’esigenza di avviare un ragionamento sul futuro dei CPI, nell’ambito di un disegno che vedesse le Regioni come parte propulsiva e non meramente passiva rispetto ai processi/strumenti che impattavano sul mercato del lavoro. Da una parte, le Regioni hanno ribadito la necessità di pensare comunque “a Costituzione vigente”, con le responsabilità e le prerogative che attenessero al livello regionale; dall’altra, era inevitabile anche porsi in una prospettiva “de iure condendo”, accompagnando comunque le riforme in itinere quanto meno con un ragionamento sul periodo transitorio. La priorità, come ricordato, è stata mettere i CPI con i rispettivi lavoratori in sicurezza, per garantire la continuità dei servizi ai cittadini; la scommessa, inoltre, era quella di investire sui servizi stessi, per migliorarli ed implementarli e, soprattutto, renderli in grado di svolgere le proprie funzioni essenziali.
Con questo spirito ci si è accostati al tema del rinnovo dell’Accordo per l’anno 2017, su cui si è appena concluso l’iter di ratifica da parte della Conferenza Stato – Regioni. Come il primo, anche il nuovo Accordo riveste una valenza politica precisa: gestire in modo coordinato la complessa fase attuale del mercato del lavoro e dei servizi per l’impiego, a partire dalla necessità di un forte rilancio delle politiche attive del lavoro su tutto il territorio, riconoscendo il ruolo strategico sia delle amministrazioni centrali sia delle amministrazioni regionali. Il nuovo Accordo, pertanto, muove i suoi passi nell’ambito del perimetro di funzioni in capo al governo e alle Regioni e Province autonome già tracciato in questi due anni. Nel testo dell’Accordo, anche per il prossimo anno si prevede l’impegno alla copertura del personale a tempo indeterminato impiegato presso i servizi per l’impiego, mediante il meccanismo della compartecipazione di risorse statali (per due terzi del fabbisogno) e regionali (per il restante terzo). Oltre alle spese per il personale, sulla base delle necessità emerse sul territorio, si recepisce anche un impegno congiunto alla copertura dei costi fissi di funzionamento dei CPI per il 2017, nella stessa proporzione fissata per la spese del personale. Anche i criteri utilizzati per il riparto delle risorse restano i medesimi seguiti nella prima fase, basati sul numero effettivo di lavoratori dipendenti a tempo indeterminato dell’annualità 2015, impiegati in compiti attinenti l’erogazione dei servizi per l’impiego. Non è presente una quantificazione delle risorse nel testo; il fabbisogno finanziario, ad ogni modo, ammonterebbe per la parte nazionale a 167 milioni di euro, composti dai 140 milioni destinati alla copertura (per due terzi) del personale e dai 27 milioni di euro riferiti ai due terzi dei costi di funzionamento. Si sottolinea, tuttavia, come nel disegno di legge di bilancio per il 2017, attualmente all’esame delle Commissioni parlamentari, risulti un accantonamento, nello stato di previsione del ministero del Lavoro, di risorse per il concorso al funzionamento dei CPI pari a 220 milioni di euro per l’anno prossimo, con un ammontare che potrebbe utilmente far fronte alla quasi totalità delle spese per i CPI. Si auspica, ad ogni modo, la tempestiva destinazione di tali risorse alle Regioni – fortemente coinvolte nei tagli complessivi sui trasferimenti finanziari previsti nella nuova legge di bilancio - per garantire, quanto meno per il 2017, la sopravvivenza e la messa in sicurezza del sistema, che negli ultimi tempi ha dimostrato capacità di tenuta non indifferenti.
Il rafforzamento dei servizi e l'attuazione del D.Lgs. 150/2015
Accanto alla continuità dei CPI, Stato e Regioni hanno condiviso la necessità di investire per valorizzare e rafforzare, in modo sostenibile, il sistema di erogazione delle politiche attive. Un elemento qualificante dell’Accordo Quadro è, in tal senso, l’impegno a finalizzare la definizione di un Piano congiunto di rafforzamento dell’erogazione delle politiche attive, mediante l’utilizzo coordinato di risorse contenute nella programmazione operativa nazionale e regionale, nel rispetto dell’attuale allocazione di tali risorse e della normativa dell’Unione europea in materia di fondi strutturali.
Il Piano di rafforzamento, come già rilevato, si pone in attuazione della cornice definita dal D. Lgs. 150/2015 e dalla manovra sugli enti locali (art. 15, comma 1, del DL 78/2015) e, di fatto, rappresenta uno strumento preliminare per il potenziamento dei servizi per il lavoro all’interno di un quadro unitario e condiviso, pur nel rispetto delle specificità territoriali. Nell’ambito del Piano, un aspetto di primaria importanza è costituito dalla prevista immissione nel sistema di mille unità di nuovi operatori qualificati, cui si dovrebbero aggiungere altri seicento operatori specializzati sul versante dell’inclusione sociale attiva: in tutto 1600 unità aggiuntive che - seppur a termine - andranno ad affiancare il personale dei CPI nello svolgimento dei loro compiti. Secondo quanto pattuito nel negoziato con il ministero del Lavoro sul contenuto del Piano, la copertura finanziaria per tale personale sarebbe radicata nelle risorse del PON SPAO con riferimento esclusivo a 1000 unità addizionali; con riguardo specifico agli ulteriori 600 operatori con caratteristiche legate al sociale, d’altro canto, le risorse disponibili sarebbero a valere sul PON Inclusione unitamente al PON SPAO.
Le unità aggiuntive di operatori appaiono al momento quanto mai necessarie, nella situazione di carico amministrativo e di sofferenza diffusa in cui versano da tempo i servizi per l’impiego. Ciò, peraltro, avviene a fronte di un progressivo depauperamento delle risorse umane più qualificate, a causa sia dei processi di attuazione della Legge Delrio che hanno interessato in via diretta l’organico in pianta stabile sia, in parallelo, dell’impossibilità di mantenere in forza il personale impiegato con forme contrattuali flessibili e/o a termine, alla luce degli esistenti vincoli ordinamentali e finanziari presenti nella normativa generale. In particolare, in relazione al comparto dei servizi per l’impiego – per il quale, a monte, la Conferenza Unificata con l’Accordo dell’11 settembre 2014 ha condiviso un canale separato di riallocazione - dalle stime effettuate in seno alla IX Commissione e riferite all’annualità 2015, è emerso il dato rilevante di quasi 8500 operatori, a vario titolo impiegati presso i servizi per l’impiego, con funzioni di “back office” che di “front office”. Di questi, circa 7000 dipendenti figuravano a tempo indeterminato, cui si affiancavano circa 750 operatori che, nello stesso periodo, risultavano impiegati a tempo determinato. Nell’ambito della platea degli operatori, inoltre, si inseriva anche il bacino del personale afferente a società esterne e/o in house affidatarie di servizi per l’impiego, che nello stesso arco temporale di riferimento ha superato le 900 unità. Seppur con diversi profili e modalità, il complesso di tali risorse è stato coinvolto, a vario titolo, nell’iter di riforma della cornice istituzionale e ciò si è inevitabilmente riflesso in una sostanziale diminuzione delle sue diverse componenti. In particolare, si è verificato un ricorso significativo ai prepensionamenti, nonché in alcuni casi a una scelta da parte degli stessi operatori di percorsi di mobilità interna verso altri settori delle amministrazioni regionali, spesso a detrimento di quella parte di addetti maggiormente esperti e specializzati del sistema (7).
Dopo un lungo percorso di confronto tecnico e politico, durato oltre un anno, la definizione del Piano appare in fase di completamento, ai fini della sua condivisione in sede di Conferenza Unificata. Le Regioni hanno più volte presentato alle amministrazioni centrali i propri rilievi, finalizzati a mantenere il contenuto e lo sviluppo del Piano sia nell’alveo del rispetto dei principi e dei vincoli normativi che presiedono all’utilizzo dei fondi europei, sia della coerenza con l’autonomia programmatoria dei POR, da tempo già approvati e ormai in fase di sostanziale attuazione. Dal confronto sono scaturiti alcuni meccanismi correttivi e, soprattutto, ha preso forma una impostazione del Piano maggiormente consona alla sua valenza di strumento di rafforzamento dei servizi per l’impiego, nell’ambito di un perimetro condiviso.
Contemporaneamente, ad avviso delle Regioni permangono tuttora da sottolineare alcuni elementi dirimenti, ai fini della effettiva natura del Piano e della sua efficacia. Ci si riferisce, essenzialmente a due aspetti fondamentali ed interconnessi: governance e quadro finanziario. Sul piano della governance, le Regioni hanno ribadito l’opportunità di garantire una organicità nelle procedure di assegnazione e assunzione delle previste risorse aggiuntive, che a monte debbono contemplare una modalità unitaria per le amministrazioni regionali nella gestione dei fondi (in qualità di enti beneficiari, oppure come organismi intermedi). A valle, una volta individuate le risorse aggiuntive, è stata richiamata dalle Regioni l’esigenza di una opportuna flessibilità nel loro utilizzo; pertanto, una volta concordati modalità, criteri e indicatori, è fondamentale che sia consentita alle Regioni l’adeguata autonomia procedurale nell’allocazione del personale da assumere, contemplando e valorizzando le modalità organizzative e le esperienze già in atto sul territorio (ad esempio, gli affidamenti di servizi a società in house, l'utilizzo di graduatorie già disponibili, il ricorso ad appalti). Sul piano finanziario, occorre garantire nella fase di declinazione territoriale del Piano la piena autonomia delle Regioni rispetto sia alla programmazione delle risorse, che all’attuazione degli interventi, che dovranno svilupparsi necessariamente in coerenza con i contesti, le priorità, le modalità attuative e i target già individuati nei POR. In questo senso, dal punto di vista dell’impegno economico, questo potrà essere individuato e declinato solo in un secondo momento, nell’ambito di atti bilaterali tra le singole amministrazioni regionali ed il ministero del Lavoro, quale Autorità di Gestione dei PON, fermo restando pertanto il carattere meramente esemplificativo e ricognitivo delle tabelle finanziarie contenute nelle bozze attuali del Piano.
In questa cornice metodologica, il Piano contiene l’enucleazione di un complesso di interventi di politica attiva del lavoro (tra cui interventi a carattere preventivo e di attivazione e misure dirette di supporto per l’integrazione nel mercato del lavoro), in corrispondenza alle disposizioni contenute nell’art. 18 del D.Lgs. 150/2015. In particolare, a partire dalle misure identificate nel provvedimento, l’obiettivo è costruire con un approccio integrato un percorso personalizzato per l’utente dei servizi per l’impiego, che dovrà comunque essere coerente con gli strumenti di politica attiva adottati a livello regionale.
Si colloca, in questo alveo, anche la riflessione sull’assegno individuale di ricollocazione, previsto negli articoli 23 e 24 del D. Lgs. 150/2015, quale somma graduata in funzione del profilo personale di occupabilità e spendibile presso i CPI o presso i soggetti accreditati per acquisire servizi di assistenza intensiva per ricerca di lavoro e per la ricollocazione di soggetti rientranti nella platea di potenziali destinatari definita dalla legge: percettori di NASPI e in stato di disoccupazione da oltre 4 mesi. L’assegno di ricollocazione, come noto, sta muovendo solo ora i primi passi nell’ambito di una fase di prima sperimentazione dello strumento. Da principio, le Regioni hanno confermato la propria disponibilità a cooperare nella fase sperimentale, purché fossero preservati in modo chiaro alcuni capisaldi dell’azione regionale, relativi rispettivamente ad un triplice profilo di necessità:
- coinvolgimento, fin da subito, dei soggetti accreditati a livello regionale, alla luce della preesistente normativa, tra i soggetti erogatori delle misure di politica attiva, nelle more della definizione di un sistema di accreditamento nazionale ex art. 12, comma 1 del D.Lgs. 150/2015;
- individuazione da parte delle Regioni dei CPI aderenti alla sperimentazione, alla luce del sovraccarico di lavoro di molti CPI e in attesa del previsto rafforzamento dei servizi per l’impiego;
- coordinamento tra le politiche nazionali e regionali, in relazione alle sperimentazioni di strumenti analoghi all’assegno di ricollocazione già presenti sui territori regionali, anche mediante l’individuazione di regole di compatibilità con le misure in corso, evitando una sovrapposizione e una duplicazione di interventi.
Ulteriori e dirimenti aspetti attuativi degli assegni di ricollocazione sono oggi all’attenzione tecnica e politica, nell’ambito di un percorso di approfondimento e chiarimento nel confronto tra ministero e Regioni.
D’altro canto, le Regioni hanno anche richiamato l’importanza di enfatizzare, nell’ambito del rafforzamento dei servizi e delle politiche attive erogate dai CPI, le sinergie con gli operatori accreditati privati, come previsto dall’art. 18 del D. Lgs. 150/2015 e sulla stregua dei modelli organizzativi regionali già esistenti, che hanno dato prova di buoni risultati in termini di efficacia e integrazione degli interventi. A tal riguardo, una componente essenziale della riflessione sarà rappresentata dal costituendo sistema nazionale di accreditamento - recentemente oggetto di una delibera dell’ANPAL - in attesa dell’adozione previa intesa del decreto ministeriale sui criteri generali dell’accreditamento per lo svolgimento dei servizi per il lavoro, ai sensi dell’articolo 12, comma 1, del D.Lgs. 150/2015. A tal proposito, le Regioni hanno richiamato l’esigenza preliminare di chiarire il rapporto tra il sistema nazionale e i sistemi regionali e le rispettive regole di interfaccia, stabilendo regole certe per una corretta interazione tra i soggetti accreditati e preservando comunque l’autonomia e gli standard territoriali.
Oltre all’accreditamento, diversi restano ancora i punti del Jobs Act che attendono uno sviluppo operativo, a partire dalla adozione, previa intesa con le Regioni e Province autonome, del decreto ministeriale (ex art. 2 del D. Lgs. 150/2015) che dovrà fissare le linee di indirizzo triennali e gli obiettivi annuali delle azioni in materia di politiche attive e la specificazione dei LEP in materia di lavoro. Un ragionamento approfondito, inoltre, andrà svolto in merito al ruolo operativo dell’ANPAL, alla luce delle funzioni ad essa attribuite dal decreto legislativo.
Permane tuttavia ancora un’esigenza di chiarimento sullo scenario prospettico in cui si collocheranno i nuovi servizi per l’impiego e sulla valenza strategica o meramente formale che gli si vorrà attribuire, in una nuova possibile impostazione del mercato del lavoro. Le scelte di oggi, compiute e da compiere, avranno il giusto peso. La strada delle leale collaborazione, nel perimetro della normativa vigente, si conferma ancora la via maestra per un’utile ed efficace pianificazione ed attuazione delle politiche nelle materie a potestà legislativa concorrente (8).