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Quaderni di Tecnostruttura - Quaderno del 30 settembre 2020

Per prospettive nuove, soluzioni innovative

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La nuova sfida dei sistemi formativi

di Luca Sciarretta

Settore Educazione - Tecnostruttura

L’emergere di un nuovo paradigma produttivo, dettato dalla quarta rivoluzione industriale in atto, sta imponendo un ripensamento profondo e radicale dell’attività lavorativa. Il principale vettore di innovazione ruota attorno all’affermarsi di nuove “tecnologie abilitanti” che fanno dell’interconnessione e della collaborazione tra sistemi il fulcro delle nuove attività produttive a livello globale. Tale trasformazione si riflette ovviamente sui sistemi formativi per la qualificazione e riqualificazione della forza lavoro.

I cambiamenti costanti che avvengono nel mercato pongono le imprese nella posizione di dover rispondere, con tempi sempre più ristretti, alla richiesta di nuovi prodotti. Ai sistemi formativi si richiede quindi una sempre maggiore capacità di sviluppo adattivo e di prefigurazione delle esigenze, in termini di competenze, che le nuove “smart factory” esprimeranno nel medio-lungo periodo.

La minimizzazione del mismatch tra domanda e offerta di lavoro rappresenta la principale sfida dei sistemi formativi. Nel nostro paese, secondo uno studio effettuato da Confindustria (1), nel triennio 2019-2021 si apriranno circa 200mila posti di lavoro in 6 settori chiave del Made in Italy – meccanica, ICT, moda, chimica, alimentare e legno-arredo - ma in un caso su tre non saranno occupati per la scarsità dell’offerta formativa inerente quelle competenze tecnico-scientifiche utili e necessarie a ricoprire il ruolo lavorativo vacante. Il mancato collegamento tra la domanda delle imprese e l’offerta formativa risulta essere una delle cause strutturali della debolezza del nostro capitale umano e quindi della nostra economia nel complesso.

Bisogna inoltre tenere conto che, sempre secondo lo studio di Confindustria, il 70% dei giovani dopo il diploma o la laurea lavoreranno in una impresa manifatturiera o di servizi per il manifatturiero che, circa in un caso su cinque, faticherà a trovare giovani da impiegare per mancanza di una adeguata formazione. Ci troviamo difronte a un vero e proprio paradosso se pensiamo che, secondo i dati OCSE 2019, l’Italia registra la terza quota più elevata di NEET tra i 25-29enni con un livello d’istruzione terziaria che si attesta al 23% rispetto alla media OCSE dell’11%, dopo la Grecia e la Turchia (2).

Monitoraggio ITS 2020 - un rapido confronto

Il monitoraggio nazionale dei percorsi ITS 2020 (3), realizzato da Indire su incarico del Ministero dell’Istruzione, ha analizzato 187 percorsi terminati nel 2018, erogati da 84 Fondazioni ITS, su 104 costituite. I percorsi hanno visto la partecipazione di 4.606 studenti e 3.536 diplomati. La popolazione di riferimento degli ITS è composta prevalentemente da giovani di età compresa tra i 20 - 24 anni (il 44,3%), maschi (il 72,1%), provenienti dagli istituti tecnici (il 62,3%).

Considerato quanto detto in premessa il dato che spicca maggiormente è quello relativo al tasso di occupazione. Per quanto riguarda i diplomati ITS l’83% (2.920 unità) ha trovato lavoro ad un anno dall’ottenimento del titolo. Di questi il 92,4% (2.697 unità) in un’area coerente con il percorso di studi. Un dato che conferma l’efficacia e allo stesso tempo la capacità del sistema ITS di rispondere alle esigenze, in termini di competenze, del sistema produttivo. Questo per un fattore determinante sopra ogni altra cosa: lo stretto legame tra ITS e imprese. Il 70% dei docenti ITS proviene dal mondo del lavoro. E di sicuro non è un caso che, secondo una indagine qualitativa svolta da INDIRE, dell’81% dei diplomati ITS che si dichiara soddisfatto del percorso svolto, il maggior apprezzamento (93,5%) è stato dato alla qualità dei docenti.

Un legame, quello tra sistema produttivo ed ITS, che si concretizza nel cogliere la sfida vitale dell’innovazione: il 52% dei percorsi ITS utilizza le tecnologie abilitanti 4.0 nei percorsi. Secondo il Rapporto 2020 (XXII Indagine) di Almalaurea nel 2019 il tasso di occupazione dei laureati, che include anche quanti risultano impegnati in attività di formazione retribuita, è pari, a un anno dal conseguimento del titolo, al 74,1% tra i laureati di primo livello e al 71,7% tra i laureati di secondo livello del 2018; tra i laureati magistrali biennali il tasso di occupazione sale al 76,3%, mentre per i magistrali a ciclo unico si attesta al 62,8%. Si tratta semplicemente di un accostamento per meglio evidenziare i risultati di performance del sistema ITS, tenendo sempre in considerazione l’ampio divario in termini quantitativi che divide i due percorsi.

Il complesso dei laureati nel 2018 sono, sempre secondo i dati del Rapporto 2020 di Almalaurea, 650.000. Se consideriamo, come universo di riferimento, l’insieme dei laureati con i diplomati ITS nel 2018 questi ultimi rappresentano poco più dello 0,5% del totale.

Altro dato di interesse riguarda la qualità dell’occupazione misurabile sostanzialmente attraverso gli strumenti contrattuali utilizzati per l’assunzione e rilevando quindi il grado di stabilità dell’occupazione ottenuta. Il 40,8% degli occupati ITS è stato assunto con un contratto a tempo determinato o lavoro autonomo in regime agevolato, il 31,7% a tempo indeterminato o lavoro autonomo in regime ordinario e il 27,5% in apprendistato. Confrontando i dati di monitoraggio 2013-2018, i dati evidenziano la costante prevalenza del contratto a tempo determinato o lavoro autonomo in regime agevolato. Crescono gli occupati con contratto di apprendistato (dal 14,2% del 2014 al 27,5% del 2018). Sempre secondo i dati del Rapporto 2020 di Almalaurea, a un anno dall’ottenimento del titolo il contratto alle dipendenze a tempo indeterminato interessa il 25,6% degli occupati con laurea di primo livello e il 25,8% di quelli con laurea di secondo livello. I laureati assunti con un contratto non standard (in particolare alle dipendenze a tempo determinato) rappresentano il 38,7% dei laureati di primo livello e il 33,5% di quelli di secondo livello. Gli occupati assunti con un contratto formativo, invece, sono rispettivamente l’11,9% dei laureati di primo livello e il 15,9% di quelli di secondo livello. Ad un primo sguardo si potrebbe dire che la situazione occupazionale dei laureati e dei diplomati ITS è sostanzialmente sovrapponibile.

In buona sostanza viene rispettato l’andamento generale del mercato del lavoro che vede la quota di lavoro non-standard (NSE), in costante aumento pressoché ovunque (4). Per NSE si intendono tutte quelle forme contrattuali che si pongono al di fuori del contratto a tempo indeterminato e a tempo pieno: tempo determinato, part-time, a chiamata o altra forma di lavoro dipendente. Ciò anche in forza di una politica europea operante ormai da anni e che vede, tra i quattro pilastri della Strategia Europea per l'Occupazione (SEO) del 1997, l'adattabilità come flessibilità in entrata volta a favorire la diffusione dei contratti non standard applicabili ai diversi tipi di lavoro. Un termine distintivo è invece individuabile nei contratti di tipo formativo. I diplomati ITS fanno registrare una percentuale decisamente maggiore di utilizzo di contratti formativi come l’apprendistato rispetto ai laureati, probabilmente per la loro maggiore flessibilità didattica che permette alle aziende di co-progettare i percorsi sui propri specifici fabbisogni professionali.

Altro dato che sarebbe interessante confrontare per meglio comprendere e valutare la redditività dell’investimento formativo consiste nella retribuzione mensile netta ad un anno dal titolo. Secondo i dati Almalaurea - Rapporto 2020 per l’Università questo dato è pari a 1.210 euro per i laureati di primo livello e a 1.285 euro per i laureati di secondo livello. Attualmente questo dato per gli ITS non è disponibile all’interno del rapporto di monitoraggio INDIRE, ma disporre di tale informazione costituirebbe un importante parametro di confronto per valutare una ulteriore dimensione qualitativa di questo sistema formativo.

Altro dato di interesse per cercare di capire il livello di efficacia degli ITS consiste nel tasso di abbandono. Il 20,7% degli iscritti abbandona il percorso ITS. Il tasso più alto si riscontra per la fascia di età 30 e oltre (il 39,7%) e per il genere femminile (21,2%). Nei diversi anni di monitoraggio considerati, il tasso di abbandono è passato dal 22,3% per i percorsi terminati nel 2013 al 20,7% dell’ultimo monitoraggio. Sempre per avere un termine di paragone, secondo il “Rapporto biennale sullo stato del sistema Universitario e della Ricerca 2018” dell’ANVUR, la percentuale di abbandoni degli studi tra il I e il II anno dell’Università, uno snodo cruciale nella “carriera” degli studenti, in quattro anni è scesa da quasi il 15% a poco più del 12% degli immatricolati nel 2016/17, per i corsi triennali, dal 9,6% al 7,5% per quelli a ciclo unico. Il tasso di abbandono degli ITS, pur registrando una riduzione lenta ma costante, rimane ancora alto rispetto a quello del sistema universitario.

Sistema ITS - per crescere ci vuole tempo e non solo

Il sistema degli Istituti Tecnici Superiori (ITS) a livello nazionale è attualmente composto da 104 ITS con 616 percorsi attivi ai quali sono iscritti 15.752 alunni. Pur essendo l’unico esempio di formazione terziaria non universitaria nel nostro Paese, gli ITS sono ancora una realtà di nicchia: solo l’1,7% delle matricole iscritte per la prima volta nel 2017, il 2,7% degli uomini iscritti per la prima volta a un percorso di studi terziario, si è iscritto a un ITS (OECD, 2019).

Spesso questo dato di partecipazione viene paragonato ai risultati ben più significativi registrati da sistemi di higher VET presenti in altri paesi. Come termini di paragone sono state spesso citate, in molteplici articoli e indagini, le Scuole Universitarie Professionali (SUP) svizzere e gli Instituts Universitaires de Technologie (IUT) francesi che rappresentano circa il 20% della formazione terziaria nei paesi di riferimento. Per non parlare delle ormai famose Fachhochschule tedesche con il loro inarrivabile 35%.

Per leggere però in modo corretto queste informazioni è necessario tenere in considerazione ulteriori informazioni assolutamente non irrilevanti. Il sistema ITS è stato istituito con DPCM del 25 gennaio 2008, iniziando di fatto la sua attività formativa nel 2010. Un sistema quindi relativamente giovane con i sui dieci anni di attività.

Le IUT francesi e le Fachhochschule tedesche sono nate a metà degli anni ’60 (rispettivamente nel 1966 e nel 1968) mentre le più giovani SUP svizzere sono state istituite nel 1995. Se vogliamo quindi dare una lettura maggiormente obiettiva dello sviluppo del sistema ITS non bisogna domandarsi come mai ad oggi il sistema non sia in grado di esprimere il medesimo potenziale in termini di partecipazione dei sui competitor d’oltralpe, ma quali possono essere i fattori che permetteranno al sistema ITS, tra venti o trenta anni, di raggiungere performance di partecipazione pari o superiori all’odierno inarrivabile 35%.

Uno di questi fattori risiede sicuramente nella conoscenza, prima, e nell’accettazione sociale, dopo, di una possibilità ulteriore di accrescimento del proprio percorso formativo. In tal senso un ruolo determinante viene giocato dalle politiche di orientamento, che hanno il compito non solo di mostrare ai ragazzi e alle loro famiglie un canale formativo poco conosciuto a volte dagli stessi insegnanti, ma anche di mostrare un approccio differente alla costruzione di una carriera formativa prima e professionale poi. Sono ormai anni che le Regioni lavorano alla realizzazione di un sistema integrato e condiviso di interventi di orientamento permanente capace di rispondere ai bisogni delle persone in ogni momento della vita,  così come stabilito nell’Accordo in Conferenza Unificata del 5 dicembre 2013 “Definizione delle linee guida del sistema nazionale sull’orientamento permanente” di cui le Regioni stesse sono state tra le prime promotrici.

Numerose infatti sono le azioni sui territori volte a rendere sempre più stabile e funzionale quella struttura policentrica di servizi volta a produrre, nei soggetti che la compongono, legami, condivisione, comunicazione. Gli ITS stessi e la loro forte relazione e sinergia con i sistemi produttivi territoriali ne rappresentano una tangibile concretizzazione. Con riferimento poi all’obiettivo di un coinvolgimento crescente dell’utenza, le Regioni, ormai da anni, sostengono la diffusione e la conoscenza dei percorsi ITS per il tramite sia di iniziative strettamente territoriali sia di respiro nazionale. Tra queste ultime la Fiera Didacta Italia, il salone della scuola e della formazione Orientamenti e JOB&Orienta, in cui le Regioni sostengono, anche finanziariamente, la partecipazione delle Fondazioni ITS al fine di diffondere, in una logica di sinergia nazionale, l’ampia e complessa offerta formativa degli ITS. Non è un caso infatti che, nel 2019, gli ITS siano stati il focus principale delle attività proposte dalle Regioni in tutte le manifestazioni precedentemente richiamate.

In termini di conoscenza una recente iniziativa è rappresentata inoltre dalla campagna informativa avviata dal MIUR che coinvolge ogni tipo di strumento comunicativo in ottica cross-mediale: spot tv (261 passaggi), radio (5.940 passaggi), stampa (10 uscite sui periodici), eventi (MICAM, Dj Ten e Job & Orienta). Non solo ma si tratta di una campagna smart e digital-oriented che prevede uno specifico canale youtube (miOffroio), banner dinamici, DEM (Direct Email Marketing), preroll youtube e video emozionali. Ulteriore fattore fondamentale per la crescita nel sistema ITS risiede nella cooperazione tra istituzioni formative.

Gli ITS non devono qualificarsi come alternativa al più classico percorso universitario. Occorre ricordare che le Università sono parte costituente delle Fondazioni di partecipazione a capo degli ITS e che, come tali, collaborano alla definizione ed erogazione dei percorsi formativi. Il 12,4 % dei docenti degli ITS proviene dalle Università.  Anche nei sistemi di higher VET presenti in altri paesi, come quelli che abbiamo precedentemente nominato, la sinergia con il sistema universitario rappresenta un fattore molto importante per il raggiungimento di obiettivi formativi di qualità.

A più di dieci anni ormai dalla istituzione di questo canale formativo occorrerebbe rivedere l’assetto normativo dell’intero sistema, stabilizzando l’offerta formativa e al contempo superando le divisioni settoriali produttive dettate da modelli di sviluppo, come quello di Industria 2015, ormai abbondantemente superati, al fine di rendere i percorsi formativi sempre più adattabili alle esigenze dei mercati in continua e rapida evoluzione.

In tal senso appare inoltre essenziale procedere con una revisione delle figure nazionali di riferimento e dei connessi standard delle competenze tecnico-professionali, aggiornandole rispetto alle recenti evoluzioni del mercato del lavoro e creando una continuità con le qualifiche dell’IeFP.

Occorrerebbe infine, a seguito dell’esperienza maturata in questi anni, chiarire il sistema di governance e di programmazione e gestione dei finanziamenti. Non può essere assolutamente sottostimato il ruolo decisivo che le Regioni hanno avuto in questi anni nel delicato compito di creare quella sinergia tra ITS e imprese del territorio che ha sostanzialmente determinato il successo, in termini occupazionali, di questo canale formativo. Un lavoro di concertazione con i diversi attori del territorio che richiede un notevole impegno amministrativo e finanziario.

Anche con riferimento al finanziamento del sistema sono le Regioni ad aver reso praticabile il decollo, in termini di praticabilità finanziaria, del sistema ITS. Il DPCM del 25 gennaio 2008 obbligava le Regioni al cofinanziamento di almeno il 30% del fondo statale. Da subito questa previsione è stata ampiamente superata con investimenti che anche oggi, dove le risorse statali sono triplicate rispetto alle dotazioni dei primi anni, si attestano a più del doppio dei finanziamenti ministeriali. Resta comunque il fatto che occorre una programmazione di lungo periodo che renda non solo certi i finanziamenti, ma anche di una entità tale da permettere quelle innovazioni di sistema utili e necessarie per rispondere alle nuove sfide poste dalla quarta rivoluzione industriale.   

Monitoraggio ITS 2020 - un rapido confronto

Il monitoraggio nazionale dei percorsi ITS 2020 (3), realizzato da Indire su incarico del Ministero dell’Istruzione, ha analizzato 187 percorsi terminati nel 2018, erogati da 84 Fondazioni ITS, su 104 costituite. I percorsi hanno visto la partecipazione di 4.606 studenti e 3.536 diplomati. La popolazione di riferimento degli ITS è composta prevalentemente da giovani di età compresa tra i 20 - 24 anni (il 44,3%), maschi (il 72,1%), provenienti dagli istituti tecnici (il 62,3%).

Considerato quanto detto in premessa il dato che spicca maggiormente è quello relativo al tasso di occupazione. Per quanto riguarda i diplomati ITS l’83% (2.920 unità) ha trovato lavoro ad un anno dall’ottenimento del titolo. Di questi il 92,4% (2.697 unità) in un’area coerente con il percorso di studi. Un dato che conferma l’efficacia e allo stesso tempo la capacità del sistema ITS di rispondere alle esigenze, in termini di competenze, del sistema produttivo. Questo per un fattore determinante sopra ogni altra cosa: lo stretto legame tra ITS e imprese. Il 70% dei docenti ITS proviene dal mondo del lavoro. E di sicuro non è un caso che, secondo una indagine qualitativa svolta da INDIRE, dell’81% dei diplomati ITS che si dichiara soddisfatto del percorso svolto, il maggior apprezzamento (93,5%) è stato dato alla qualità dei docenti.

Un legame, quello tra sistema produttivo ed ITS, che si concretizza nel cogliere la sfida vitale dell’innovazione: il 52% dei percorsi ITS utilizza le tecnologie abilitanti 4.0 nei percorsi. Secondo il Rapporto 2020 (XXII Indagine) di Almalaurea nel 2019 il tasso di occupazione dei laureati, che include anche quanti risultano impegnati in attività di formazione retribuita, è pari, a un anno dal conseguimento del titolo, al 74,1% tra i laureati di primo livello e al 71,7% tra i laureati di secondo livello del 2018; tra i laureati magistrali biennali il tasso di occupazione sale al 76,3%, mentre per i magistrali a ciclo unico si attesta al 62,8%. Si tratta semplicemente di un accostamento per meglio evidenziare i risultati di performance del sistema ITS, tenendo sempre in considerazione l’ampio divario in termini quantitativi che divide i due percorsi.

Il complesso dei laureati nel 2018 sono, sempre secondo i dati del Rapporto 2020 di Almalaurea, 650.000. Se consideriamo, come universo di riferimento, l’insieme dei laureati con i diplomati ITS nel 2018 questi ultimi rappresentano poco più dello 0,5% del totale.

Altro dato di interesse riguarda la qualità dell’occupazione misurabile sostanzialmente attraverso gli strumenti contrattuali utilizzati per l’assunzione e rilevando quindi il grado di stabilità dell’occupazione ottenuta. Il 40,8% degli occupati ITS è stato assunto con un contratto a tempo determinato o lavoro autonomo in regime agevolato, il 31,7% a tempo indeterminato o lavoro autonomo in regime ordinario e il 27,5% in apprendistato. Confrontando i dati di monitoraggio 2013-2018, i dati evidenziano la costante prevalenza del contratto a tempo determinato o lavoro autonomo in regime agevolato. Crescono gli occupati con contratto di apprendistato (dal 14,2% del 2014 al 27,5% del 2018). Sempre secondo i dati del Rapporto 2020 di Almalaurea, a un anno dall’ottenimento del titolo il contratto alle dipendenze a tempo indeterminato interessa il 25,6% degli occupati con laurea di primo livello e il 25,8% di quelli con laurea di secondo livello. I laureati assunti con un contratto non standard (in particolare alle dipendenze a tempo determinato) rappresentano il 38,7% dei laureati di primo livello e il 33,5% di quelli di secondo livello. Gli occupati assunti con un contratto formativo, invece, sono rispettivamente l’11,9% dei laureati di primo livello e il 15,9% di quelli di secondo livello. Ad un primo sguardo si potrebbe dire che la situazione occupazionale dei laureati e dei diplomati ITS è sostanzialmente sovrapponibile.

In buona sostanza viene rispettato l’andamento generale del mercato del lavoro che vede la quota di lavoro non-standard (NSE), in costante aumento pressoché ovunque (4). Per NSE si intendono tutte quelle forme contrattuali che si pongono al di fuori del contratto a tempo indeterminato e a tempo pieno: tempo determinato, part-time, a chiamata o altra forma di lavoro dipendente. Ciò anche in forza di una politica europea operante ormai da anni e che vede, tra i quattro pilastri della Strategia Europea per l'Occupazione (SEO) del 1997, l'adattabilità come flessibilità in entrata volta a favorire la diffusione dei contratti non standard applicabili ai diversi tipi di lavoro. Un termine distintivo è invece individuabile nei contratti di tipo formativo. I diplomati ITS fanno registrare una percentuale decisamente maggiore di utilizzo di contratti formativi come l’apprendistato rispetto ai laureati, probabilmente per la loro maggiore flessibilità didattica che permette alle aziende di co-progettare i percorsi sui propri specifici fabbisogni professionali.

Altro dato che sarebbe interessante confrontare per meglio comprendere e valutare la redditività dell’investimento formativo consiste nella retribuzione mensile netta ad un anno dal titolo. Secondo i dati Almalaurea - Rapporto 2020 per l’Università questo dato è pari a 1.210 euro per i laureati di primo livello e a 1.285 euro per i laureati di secondo livello. Attualmente questo dato per gli ITS non è disponibile all’interno del rapporto di monitoraggio INDIRE, ma disporre di tale informazione costituirebbe un importante parametro di confronto per valutare una ulteriore dimensione qualitativa di questo sistema formativo.

Altro dato di interesse per cercare di capire il livello di efficacia degli ITS consiste nel tasso di abbandono. Il 20,7% degli iscritti abbandona il percorso ITS. Il tasso più alto si riscontra per la fascia di età 30 e oltre (il 39,7%) e per il genere femminile (21,2%). Nei diversi anni di monitoraggio considerati, il tasso di abbandono è passato dal 22,3% per i percorsi terminati nel 2013 al 20,7% dell’ultimo monitoraggio. Sempre per avere un termine di paragone, secondo il “Rapporto biennale sullo stato del sistema Universitario e della Ricerca 2018” dell’ANVUR, la percentuale di abbandoni degli studi tra il I e il II anno dell’Università, uno snodo cruciale nella “carriera” degli studenti, in quattro anni è scesa da quasi il 15% a poco più del 12% degli immatricolati nel 2016/17, per i corsi triennali, dal 9,6% al 7,5% per quelli a ciclo unico. Il tasso di abbandono degli ITS, pur registrando una riduzione lenta ma costante, rimane ancora alto rispetto a quello del sistema universitario.

Sistema ITS - per crescere ci vuole tempo e non solo

Il sistema degli Istituti Tecnici Superiori (ITS) a livello nazionale è attualmente composto da 104 ITS con 616 percorsi attivi ai quali sono iscritti 15.752 alunni. Pur essendo l’unico esempio di formazione terziaria non universitaria nel nostro Paese, gli ITS sono ancora una realtà di nicchia: solo l’1,7% delle matricole iscritte per la prima volta nel 2017, il 2,7% degli uomini iscritti per la prima volta a un percorso di studi terziario, si è iscritto a un ITS (OECD, 2019).

Spesso questo dato di partecipazione viene paragonato ai risultati ben più significativi registrati da sistemi di higher VET presenti in altri paesi. Come termini di paragone sono state spesso citate, in molteplici articoli e indagini, le Scuole Universitarie Professionali (SUP) svizzere e gli Instituts Universitaires de Technologie (IUT) francesi che rappresentano circa il 20% della formazione terziaria nei paesi di riferimento. Per non parlare delle ormai famose Fachhochschule tedesche con il loro inarrivabile 35%.

Per leggere però in modo corretto queste informazioni è necessario tenere in considerazione ulteriori informazioni assolutamente non irrilevanti. Il sistema ITS è stato istituito con DPCM del 25 gennaio 2008, iniziando di fatto la sua attività formativa nel 2010. Un sistema quindi relativamente giovane con i sui dieci anni di attività.

Le IUT francesi e le Fachhochschule tedesche sono nate a metà degli anni ’60 (rispettivamente nel 1966 e nel 1968) mentre le più giovani SUP svizzere sono state istituite nel 1995. Se vogliamo quindi dare una lettura maggiormente obiettiva dello sviluppo del sistema ITS non bisogna domandarsi come mai ad oggi il sistema non sia in grado di esprimere il medesimo potenziale in termini di partecipazione dei sui competitor d’oltralpe, ma quali possono essere i fattori che permetteranno al sistema ITS, tra venti o trenta anni, di raggiungere performance di partecipazione pari o superiori all’odierno inarrivabile 35%.

Uno di questi fattori risiede sicuramente nella conoscenza, prima, e nell’accettazione sociale, dopo, di una possibilità ulteriore di accrescimento del proprio percorso formativo. In tal senso un ruolo determinante viene giocato dalle politiche di orientamento, che hanno il compito non solo di mostrare ai ragazzi e alle loro famiglie un canale formativo poco conosciuto a volte dagli stessi insegnanti, ma anche di mostrare un approccio differente alla costruzione di una carriera formativa prima e professionale poi. Sono ormai anni che le Regioni lavorano alla realizzazione di un sistema integrato e condiviso di interventi di orientamento permanente capace di rispondere ai bisogni delle persone in ogni momento della vita,  così come stabilito nell’Accordo in Conferenza Unificata del 5 dicembre 2013 “Definizione delle linee guida del sistema nazionale sull’orientamento permanente” di cui le Regioni stesse sono state tra le prime promotrici.

Numerose infatti sono le azioni sui territori volte a rendere sempre più stabile e funzionale quella struttura policentrica di servizi volta a produrre, nei soggetti che la compongono, legami, condivisione, comunicazione. Gli ITS stessi e la loro forte relazione e sinergia con i sistemi produttivi territoriali ne rappresentano una tangibile concretizzazione. Con riferimento poi all’obiettivo di un coinvolgimento crescente dell’utenza, le Regioni, ormai da anni, sostengono la diffusione e la conoscenza dei percorsi ITS per il tramite sia di iniziative strettamente territoriali sia di respiro nazionale. Tra queste ultime la Fiera Didacta Italia, il salone della scuola e della formazione Orientamenti e JOB&Orienta, in cui le Regioni sostengono, anche finanziariamente, la partecipazione delle Fondazioni ITS al fine di diffondere, in una logica di sinergia nazionale, l’ampia e complessa offerta formativa degli ITS. Non è un caso infatti che, nel 2019, gli ITS siano stati il focus principale delle attività proposte dalle Regioni in tutte le manifestazioni precedentemente richiamate.

In termini di conoscenza una recente iniziativa è rappresentata inoltre dalla campagna informativa avviata dal MIUR che coinvolge ogni tipo di strumento comunicativo in ottica cross-mediale: spot tv (261 passaggi), radio (5.940 passaggi), stampa (10 uscite sui periodici), eventi (MICAM, Dj Ten e Job & Orienta). Non solo ma si tratta di una campagna smart e digital-oriented che prevede uno specifico canale youtube (miOffroio), banner dinamici, DEM (Direct Email Marketing), preroll youtube e video emozionali. Ulteriore fattore fondamentale per la crescita nel sistema ITS risiede nella cooperazione tra istituzioni formative.

Gli ITS non devono qualificarsi come alternativa al più classico percorso universitario. Occorre ricordare che le Università sono parte costituente delle Fondazioni di partecipazione a capo degli ITS e che, come tali, collaborano alla definizione ed erogazione dei percorsi formativi. Il 12,4 % dei docenti degli ITS proviene dalle Università.  Anche nei sistemi di higher VET presenti in altri paesi, come quelli che abbiamo precedentemente nominato, la sinergia con il sistema universitario rappresenta un fattore molto importante per il raggiungimento di obiettivi formativi di qualità.

A più di dieci anni ormai dalla istituzione di questo canale formativo occorrerebbe rivedere l’assetto normativo dell’intero sistema, stabilizzando l’offerta formativa e al contempo superando le divisioni settoriali produttive dettate da modelli di sviluppo, come quello di Industria 2015, ormai abbondantemente superati, al fine di rendere i percorsi formativi sempre più adattabili alle esigenze dei mercati in continua e rapida evoluzione.

In tal senso appare inoltre essenziale procedere con una revisione delle figure nazionali di riferimento e dei connessi standard delle competenze tecnico-professionali, aggiornandole rispetto alle recenti evoluzioni del mercato del lavoro e creando una continuità con le qualifiche dell’IeFP.

Occorrerebbe infine, a seguito dell’esperienza maturata in questi anni, chiarire il sistema di governance e di programmazione e gestione dei finanziamenti. Non può essere assolutamente sottostimato il ruolo decisivo che le Regioni hanno avuto in questi anni nel delicato compito di creare quella sinergia tra ITS e imprese del territorio che ha sostanzialmente determinato il successo, in termini occupazionali, di questo canale formativo. Un lavoro di concertazione con i diversi attori del territorio che richiede un notevole impegno amministrativo e finanziario.

Anche con riferimento al finanziamento del sistema sono le Regioni ad aver reso praticabile il decollo, in termini di praticabilità finanziaria, del sistema ITS. Il DPCM del 25 gennaio 2008 obbligava le Regioni al cofinanziamento di almeno il 30% del fondo statale. Da subito questa previsione è stata ampiamente superata con investimenti che anche oggi, dove le risorse statali sono triplicate rispetto alle dotazioni dei primi anni, si attestano a più del doppio dei finanziamenti ministeriali. Resta comunque il fatto che occorre una programmazione di lungo periodo che renda non solo certi i finanziamenti, ma anche di una entità tale da permettere quelle innovazioni di sistema utili e necessarie per rispondere alle nuove sfide poste dalla quarta rivoluzione industriale.